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La giornata del ricordo [Qui]: un tema difficile da affrontare, scivoloso e irto di ostacoli, dove la storia e il contesto divengono un fastidioso orpello, sul percorso della narrazione italianocentrica.

Per anni si è taciuto su ciò che accadde prima e dopo la guerra sul confine orientale d’Italia. Ora, che un ex comunista negli anni ’90 (Luciano Violante [Qui]) ha istituito la giornata del ricordo, i tragici avvenimenti vengono sempre e solo raccontati da un unico punto di vista.

Le belve titine assetate di sangue sterminarono migliaia di nostri concittadini inermi: questa la sola e unica narrazione di ciò che accadde. I partigiani Jugoslavi come le SS, la violenza della stella rossa contro gli italiani “brava gente”.

Ma siamo proprio sicuri di sapere come sono andati i fatti? Siamo davvero convinti che i morti nelle foibe siano solo italiani, civili e innocenti, una barbarie che si è sviluppata solo dal 8 settembre in poi, senza nessun antefatto?

Vi do un consiglio di lettura: “E allora le foibe” di Eric Gobetti [Qui]. Un libro di storia completo, dove le fonti sono chiare e rintracciabili, dove non c’è una tesi prestabilita, dove i colpevoli non stanno in premessa, dove gli accadimenti si sviluppano nell’arco di mezzo secolo o forse più, dove i fatti tragici parlano sia con accento italiano che slavo, dove il sangue, laggiù sul fondo delle foibe, è di tante, troppe etnie, per essere classificato solo ed esclusivamente come un dramma patriottico.

Trieste, lstria e la Venezia Giulia sono stati per secoli luoghi di incontro, una porta sull’oriente dove popoli di origine differente, hanno convissuto in pace, italiani, slavi, ottomani, austro-ungarici, mille colori, odori speziati, architettura mitteleuropea, capitelli in stile greco mediterraneo. Un pot-pourri di genti diverse in un contesto aperto.

Poi, la “Gran Vera” si mangia una generazione, i ragazzi del ’99 cadono da una parte e dall’altra della barricata. La guerra finisce e inizia il ventennio.

Le scuole slave a Trieste e nella Venezia Giulia vengono chiuse, i cognomi vengono italianizzati, iniziano le persecuzioni e la pulizia etnica. Il regime vuole italianizzare l’Istria per purificarla dai barbari dell’est.

Le terre vengono confiscate, intere popolazioni vengono espropriate delle loro case, inizia l’esodo delle genti slave verso l’interno e verso nord. Cominciano le stragi e le persecuzioni e laggiù nelle foibe cadono Istriani e Dalmati di origine slava.

Una delle foto maggiormente utilizzata per evocare la violenza dei partigiani di Tito nei confronti degli italiani, ritrae un plotone di esecuzione intento alla fucilazione di un gruppo di persone, sul ciglio di una foiba. Dagli elmetti si capisce però, che i soldati non sono Jugoslavi, ma italiani.

Quell’’immagine gira ancora nel web come monito dell’orrore comunista.

Il campo di concentramento di Arbe [Qui], molto meno famoso di quello nazista della risiera di san Saba, fu gestito direttamente da fascisti italiani. In quel medesimo campo videro la morte oltre 1.500 tra sloveni e croati deportati.

Nel 2021 è decorso l’ottantesimo anniversario dell’invasione italiana della Dalmazia e dell’Istria. Questo era in breve il contesto entro cui si lega la tragedia delle foibe e dell’esodo italiano di ritorno. I numeri aberranti degli infoibati, secondo la documentazione storica conta di circa cinquecento morti all’indomani dell’8 settembre del 1943, tre-quattro mila dopo il 1945.

Numeri mostruosi, come è mostruosa e schifosa una guerra, tutte le guerre, di questi morti stando all’analisi delle vittime si evince che la maggior parte furono collaborazionisti e o combattenti fascisti al fianco dell’occupante nazista. Non fu pulizia etnica, ma una vendetta e una brutale resa dei conti.

Tra le tante vittime ci furono certo donne e uomini estranei alla violenza fascista avvenuta in precedenza, uccisi solo perché italiani. Ma la guerra non ha nulla di umano, pur essendo l’espressione unica che ci differenzia dagli animali, dai Neanderthal a oggi.

I numeri e i concetti non sono revisionismo storico, tantomeno negazionismo, e nemmeno la banalizzazione di una tragedia, sono tasselli che non possono essere avulsi dal contesto. Mieli e altri, parlano di centinaia di migliaia di morti italiani, addirittura di milioni: ecco perché si vuole equiparare ciò che accadde sul confine est con la Shoah, ma così non fu.

Fu una delle tante immani tragedie che si verificarono durante la seconda guerra mondiale.

Quello che invece è passato, nell’opinione pubblica, anche progressista e democratica, è l’equiparazione partigiano/fascista, cioè tanto gli uni quanto gli altri compirono delle atrocità, senza pensare a quale parte della barricata occupavano.

Dopo il ’43 circa trentamila italiani andarono a gonfiare le file della resistenza Jugoslava, diecimila dei quali morirono tra le sponde est e ovest del Tagliamento.

L’immagine degli italiani brava gente, del fascismo buono se confrontato al nazismo è oramai diventata una verità. Difficile credere che nei campi di concentramento gestiti dalle forze armate italiane, furono internate centomila persone e almeno cinquemila (compresi donne e bambini) ne morirono.

Molto più semplice paragonare il nazi-fascismo al comunismo, non importa se durante la seconda guerra mondiale morirono ventitré milioni di Russi e senza Stalin, in Europa si sarebbe marciato col passo dell’oca per sempre.

Certo che mi espongo alle critiche di chiunque voglia fare i paragoni. Ma io mi chiedo: il comunismo fu Stalin, Pol Pot e Mao o Marx, Gramsci, Brecth, Sartre, Neruda, Rosa Luxemburg e Berlinguer? Il cristianesimo fu Gesù Cristo o Tomás de Torquemada (il grande inquisitore)? L’America fu Martin Luther King o Andrew Jackson? La Francia fu la paria dei Lumi, o una delle più grandi potenze colonialiste del mondo? L’Inghilterra fu la prima nazione ad avere una costituzione o fu la nazione che estinse i nativi in almeno due continenti?

Sono domande a cui ognuno, a seconda delle proprie ideologia, avrà una risposta adeguata, ma come ultima chiosa vorrei aggiungere: esistette un fascismo buono e un nazismo cattivo? A mio parere no, Hitler venne dopo Mussolini e prese molti spunti da esso. Hitler vedeva Mussolini come un modello, quindi fu il nazismo a copiare il fascismo e non viceversa. Il führer prese a modello la “soluzione finale del problema indiano” attuato in America, quando progettò lo stermino degli ebrei.

L’antifascismo in Italia non è più un valore condiviso, non esiste più una forza politica di massa che ne faccia bandiera, assioma insormontabile. Solo l’ANPI [Qui] tiene per sempre alto il valore dei partigiani, mentre tutt’intorno fermenta il revisionismo.

La storia non dovrebbe avere colore o ideologia, andrebbe raccontata tutta, con numeri e dati reperibili, ma così non è. La memoria diviene facilmente manipolabile, soprattutto quando la massa percepisce gli eventi così come ci sono descritti, senza cercare mai di approfondire, come in un film giallo di terz’ordine, dove l’assassino è il cameriere, comunista per giunta.

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Cristiano Mazzoni

Cristiano Mazzoni è nato in una borgata di Ferrara, nell’autunno caldo del 1969. Ha scritto qualche libro ma non è scrittore, compone parole in colonna ma non è poeta, collabora con alcune testate ma non è giornalista. E’ impiegato metalmeccanico e tifoso della Spal.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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