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Mese: Dicembre 2013

A MeMe gran finale con film in salsa ferrarese e spettacolo-degustazione sul vino

Il “mercato coperto” di via Santo Stefano sta riscaldando i pomeriggi e le serate dei ferraresi. La felice esperienza della settimana del futuro all’interno del festival MeMe (Makers exposed), indirizzato al mondo dei nuovi artigiani tra saperi tradizionali e innovazione tecnologica, sta avendo seguito con la frequentata appendice di questi giorni di festa e fino al quattro gennaio.

Si segnalano, in particolare, due appuntamenti da approcciare con il calice in mano. Giovedì, alle 18,30, con una breve introduzione del regista Giuseppe Gandini, avrà luogo la proiezione di ‘Una canna con Goldrake’, originale e divertente commedia di confronto generazionale girata nel 1999 con cast in buona parte ferrarese. Venerdì alle 19,30, il festival MeMe proporrà un vero e proprio spettacolo sul vino, la sua poesia, la sua storia e la sua chimica.

I ferraresi Giuseppe Gandini e Gianantonio Martinoni (ideatori del soggetto insieme ad Alessandro Pepe ed essi stessi attori sul palco) propongono ‘Eyes Wine Shot‘, spettacolo-degustazione che accompagna all’assaggio con una serie di letture sul tema, dalla Ode al Vino di Pablo Neruda, a Barbera e Champagne di gaberiana memoria, anche rileggendo in chiave ironica le proliferanti guide sul vino. Lo spettacolo ha già divertito (e fatto degustare) platee di ogni parte d’Italia. Con i due eventi citati e dopo proiezioni, incontri e ottima musica (ricordiamo, oltre ai dj set, gli apprezzati concerti di Dagger Moth e delle californiane Ian Fays) questo piccolo angolo di Berlino nel centro di Ferrara si prepara al finale a sorpresa, nelle serata di sabato 4 gennaio.

Chi deve ancora entrare in quella che fino a poco tempo fa era la ‘metà dismessa del mercato’ si troverà, con grande stupore, all’interno di un luogo di socialità degno di una metropoli europea. Un temporary shop dove acquistare gli oggetti di design realizzati dai makers di ogni parte d’Italia (dalla piccola lampada alla libreria, dal portafoglio alla poltrona) riempie quelle che furono le botteghe del lattaio e del macellaio. Un bar allestito, un ambito per proiezioni e un dj set formano insieme gli spazi di una vera piazza coperta naturale, dove le persone s’incontrano, ascoltano musica, bevono un aperitivo. Ciò che infatti accadrà negli ultimi scoppiettanti giorni di apertura del festival, dal due al quattro gennaio. In attesa che l’appuntamento si rinnovi, il prossimo dicembre, a grande richiesta dopo il successo ottenuto.

Associazione MeMe

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La rivoluzione solitaria di papa Francesco contro l’emarginazione sociale e gli abusi di potere

Le gerarchie ecclesiastiche italiane per disaccordo; le parrocchie per pigrizia routinaria; la politica perché in ‘ben altre faccende affaccendata’… Insomma, alla fin fine il risultato è il medesimo: l’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” è stata ignorata. Eppure si tratta del primo documento organico in cui papa Francesco espone il suo pensiero teologico, pastorale, sociale e morale.
E’ un elaborato di quasi trecento pagine. L’Istituto Gramsci e l’Istituto di Storia Contemporanea hanno dedicato un pomeriggio a discuterlo, alla presenza di un numeroso e attento pubblico e introdotto con conseuta competenza e rigore da Piero Stefani.
In questa sede, in perfetta coerenza con il titolo della rubrica, richiamo l’attenzione sulla parte dedicata ai poveri. In particolare su un punto di analisi di filosofia sociale e politica di grande innovazione. Là dove papa Francesco scrive: “Così come il comandamento ‘non uccidere’ pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire ‘no a un’economia dell’esclusione e dell’iniquità’. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Oggi tutto entra nel gioco della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie d’uscita. Abbiamo dato inizio alla cultura dello ‘scarto’ che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi di oggi non sono ‘sfruttati’, ma rifiuti, ‘avanzi’, scarti…”.
Ecco il punto di analisi sociale nuovo! Rispetto alla modernità che abbiamo conosciuto dalle origini fino ad oggi, in cui la dialettica tra sfruttatori e sfruttati (l’hegheliana dialettica tra ‘servo e padrone’…) ha costituito uno dei motori del progresso sociale e democratico, l’attuale condizione di ‘scarto’ in cui viene a trovarsi una parte larga di umanità nel mondo, rivela questa verità tragica: tu, escluso, non sei più un ‘attore sociale’! Sei niente! Non esisti! Sei uno ‘scarto’ da gettare e ignorare! Conseguentemente, papa Francesco rifiuta le soluzioni assistenziali e di carità, mettendo a fuoco la natura politico-sociale del problema della povertà nel tempo del liberismo sfrenato e senza limiti. Dunque, la figura del ‘povero’ non come persona ‘solo’ da sfamare, ma come soggetto da rendere protagonista della propria emancipazione. Non a caso, alcune parte del documento riecheggiano temi e soluzioni della “Teologia della Liberazione”: “La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere… I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. L’iniquità è la radice dei mali sociali”.
Se solo esistesse un interlocutore politico (a livello mondiale e nazionale) adeguato a questa analisi, potremmo tornare a sperare in un futuro meno fosco!

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ACCORDI
il brano musicale
di oggi

 

Ogni giorno un brano intonato a ciò che la giornata prospetta…
(per ascoltarlo cliccare sul titolo)

 

Martedì 31 dicembre 2013 – Lucio Dalla, L’anno che verrà

Lunedì 30 dicembre 2013 – Ligabue, Il peso della valigia

Domenica 29 dicembre 2013 – Daniele Silvestri, Salirò

Sabato 28 dicembre 2013 – Luigi Tenco, Lontano lontano

Venerdì 27 dicembre 2013 – Paolo Conte con Bruno Lauzi, Genova per noi

Giovedì 26 dicembre 2013 – Ludovico Einaudi, I giorni

Mercoledì 25 dicembre 2013 – John Lennon, Imagine

Mercoledì 25 dicembre 2013 – Arcangelo Corelli, Concerto grosso n.8 op. 6 “Fatto per la notte di Natale”

Martedì 24 dicembre – Edoardo Bennato, Un giorno credi

Lunedì 23 dicembre 2013 – Cat Stevens, Sitting

Domenica 22 dicembre 2013 – Franco Battiato, La cura

Sabato 21 dicembre 2013 – Noa, Eye in the sky

Venerdì 20 dicembre 2013 – Giorgio Gaber, Il conformista

Giovedì 19 dicembre 2013 – Vasco Rossi, Gli angeli

Mercoledì 18 dicembre 2013 – Ivano Fossati, Mio fratello che guardi il mondo

Martedì 17 dicembre 2013 – Fabrizio De Andrè, Don Raffaè

Lunedì 16 dicembre 2013 – Mercedes Sosa, Todo cambia

Domenica 15 dicembre 2013 – Ismael Lo, Tajabone

Sabato 14 dicembre 2013 – Sting, Message in a bottle

Venerdì 13 dicembre 2013 – Alanis Morissette, Utopia

Giovedì 12 dicembre 2013 – Francesco De Gregori, Viva l’Italia

Mercoledì 11 dicembre 2013 – Alberto Radius, Nel ghetto

Martedì 10 dicembre 2013 – Assemblea Musicale Teatrale, La nostra storia

Lunedì 9 dicembre 2013 – Ivan Graziani, Firenze

Domenica 8 dicembre 2013 – Abba, The winner takes it all

Sabato 7 dicembre 2013 – Ivano Fossati, C’è tempo

Venerdì 6 dicembre 2013 – Tracy Chapman, Talkin ‘bout a revolution

Giovedì 5 dicembre 2013 – Francesco Guccini, Cyrano

Mercoledì 4 dicembre 2013 – Paolo Rossi, In Italia si sta male

Martedì 3 dicembre 2013 – Pierangelo Bertoli, Eppure soffia

Lunedì 2 dicembre 2013 – Franco Battiato, Povera Patria

Domenica 1 dicembre 2013 – Enzo Jannacci, Il bonzo

GERMOGLI
l’aforisma
di oggi…

 

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

 

Non si trasforma la propria vita senza trasformare se stessi (Simone de Beauvoir)
[martedì 31 dicembre 2013]

I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia (Mario Rigoni Stern)
[lunedì 30 dicembre 2013]

L’ambizione è lo sterco della gloria (Pietro Aretino)
[domenica 29 dicembre 2013]

Le sensazioni sono i dettagli che compongono la storia della nostra vita (Oscar Wilde)
[sabato 28 dicembre 2013]

Gli uomini discutono, la natura agisce (Voltaire)
[venerdì 27 dicembre 2013]

Se vogliamo costruire la pace nel mondo, costruiamola in primo luogo dentro ciascuno di noi (Il Dalai Lama Tenzin Gyatso)
[giovedì 26 dicembre 2013]

Riflessione di Natale di don Andrea Gallo
[mercoledì 25 dicembre 2013]

C’è una forza motrice più forte del vapore, dell’elettricità e dell’energia atomica: la volontà (Albert Einstein)
[martedì 24 dicembre 2013]

Abbiamo quaranta milioni di ragioni per fallire, ma non una sola scusa (Rudyard Kipling)
[lunedì 23 dicembre 2013]

La serenità è il frutto della rassegnazione all’incertezza (Nicolás Gómez Dávila)
[domenica 22 dicembre 2013]

Il desiderio è metà della vita; l’indifferenza è già metà della morte (Kahlil Gibran)
[sabato 21 dicembre 2013]

Le grandi strade del conformismo portano alla mediocrità e alla sventura (Nicolas Hulot)
[venerdì 20 dicembre 2013]

Nulla si conosce interamente finché non vi si è girato tutt’attorno per arrivare al medesimo punto provenendo dalla parte opposta (Arthur Schopenhauer)
[giovedì 19 dicembre 2013]

Un linguaggio diverso è una diversa visione della vita (Federico Fellini)
[mercoledì 18 dicembre 2013]

Il più grande ostacolo al progresso è di gran lunga questo: che gli uomini si disperano e pensano che le cose siano impossibili (Francis Bacon)
[martedì 17 dicembre 2013]

Tutto scorre, per questo non si può scendere due volte nello stesso fiume (Eraclito)
[lunedì 16 dicembre 2013]

Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo (Gandhi)
[domenica 15 dicembre 2013]

E’ il semplice che è difficile da realizzare (Ernst Bloch)
[sabato 14 dicembre 2013]

Qualsiasi cosa sogni di fare, comincia a farla. Nell’audacia c’è genio, potere e magia (Arthur Rimbaud)
[venerdì 13 dicembre 2013]

È il potere, non la verità che crea le leggi (Thomas Hobbes)
[giovedì 12 dicembre 2013]

La realtà non è mai come la si vede: la verità è soprattutto immaginazione (Renè Magritte)
[mercoledì 11 dicembre 2013]

Fai quello che puoi con quello che hai nel posto in cui sei (Theodore Roosevelt)
[martedì 10 dicembre 2013]

La speranza ha due bellissime figlie: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose il coraggio per cambiarle (Pablo Neruda)
[lunedì 9 dicembre 2013]

La direzione in cui andare è più importante della velocità (Stephen Covey)
[domenica 8 dicembre 2013]

Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare (Eduardo Galeano)
[sabato 7 dicembre 2013]

Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me (Immanuel Kant)
[venerdì 6 dicembre 2013]

La perfezione si ottiene non quando non c’è niente da aggiungere, bensì quando non c’è più nulla da togliere (Antoine de Saint-Exupéry)
[giovedì 5 dicembre 2013]

Non è la libertà che manca; mancano gli uomini liberi (Leo Longanesi)
[mercoledì 4 dicembre 2013]

Non voglio essere un genio: ho già problemi a sufficienza cercando di essere solo un uomo (Albert Camus)
[martedì 3 dicembre 2013]

Cominciate a fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile e all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile (Francesco d’Assisi)
[lunedì 2 dicembre 2013]

I grandi spiriti hanno sempre incontrato l’opposizione violenta delle menti mediocri (Albert Einstein)
[domenica 1 dicembre 2013]

Se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori (Italo Calvino)
[sabato 30 novembre 2013]

L’Italia è una Repubblica fondata sulla deroga (Anonimo)
[venerdì 29 novembre 2013]

“I vecchi credono a tutto; le persone di mezza età sospettano di tutto; i giovani sanno tutto” (Oscar Wilde)
[giovedì 28 novembre 2013]

“Una qualità degli italiani è quella di volare in soccorso dei vincitori” (Ennio Flaiano)
[mercoledì 27 novembre 2013]

“Quando si agisce cresce il coraggio, quando si rimanda cresce la paura” (Publilio Siro)
[martedì 26 novembre 2013]

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IMMAGINARIO
la foto
di oggi

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità.

 

Martedì 31 dicembre 2013 – Aspettando l’incendio del castello (foto Luca Pasqualini)

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Il tradizionale ‘incendio del castello a capodanno (foto Luca Pasqualini)

Sabato 28 dicembre 2013 – Arcobaleno osservato dalla riva sinistra del Po (foto Roberto Fontanelli)

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(foto Roberto Fontanelli)

Venerdì 27 dicembre 2013 – Portico di piazza Ariostea (foto Luca Pasqualini)

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(foto Luca Pasqualini)

Giovedì 26 dicembre 2013, Pista del ghiaccio al giardino della Duchesse

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pista del ghiaccio nel giardino delle Duchesse

Martedì 24 dicembre 2013, Smile, su muro di via Garibaldi (foto Giorgia Mazzotti)

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foto Giorgia Mazzotti

Lunedì 23 dicembre 2013 – Provincia, addio

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Provincia, addio

Domenica 22 dicembre 2013 – Campagna ferrarese sulla riva destra del Po, nei pressi di Francolino (foto Roberto Fontanelli)

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(foto Roberto Fontanelli)

Sabato 21 dicembre 2013 – In bici nel parco Bassani (foto Roberto Fontanelli)

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(foto Roberto Fontanelli)

Venerdì 20 dicembre 2013 – Ferrara (o Cambogia?): il Po morto di Primaro nei pressi di San Giorgio (foto Aldo Gessi)

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Ferrara (o Cambogia?): il Po morto di Primaro nei pressi di San Giorgio – foto Aldo Gessi

Giovedì 19 dicembre 2013 – La mia città (foto Luca Pasqualini)

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foto Luca Pasqualini


Mercoledì 18 dicembre 2013 –
Veduta aerea dei giardini di viale 4 novembre con i grattacieli

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Un’immagine aerea dei giardini di viale 4 novembre a Ferrara (foto di Roberto Fontanelli)

(foto Roberto Fontanelli)

Sabato 30 novembre 2013 – ARIA NATALIZIA IN CITTA’

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(foto Aldo Gessi)

Giovedì 28 novembre 2013 – FERRARA VISTA DAL DRONE

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(foto Roberto Fontanelli)

Mercoledì 27 novembre 2013

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Sul Listone si ripulisce il cantiere per fare spazio al mercatino di Natale (foto Stefano Bertelli)

(foto Roberto Fontanelli)

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Ferrara 26 novembre 2013

(foto Aldo Gessi)

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Ferrara 25 novembre 2013
Ferrara 25 novembre 2013
Ferrara 25 novembre 2013
Ferrara 25 novembre 2013
Ferrara 25 novembre 2013
Ferrara 25 novembre 2013
Ferrara 25 novembre 2013
Ferrara 25 novembre 2013
Ferrara 25 novembre 2013
Ferrara 25 novembre 2013
Ferrara 25 novembre 2013
Ferrara 25 novembre 2013
Ferrara 25 novembre 2013

(foto Aldo Gessi)

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A Ferrara il Comune sostiene la street art. Ecco la mappa dei murales autorizzati

Guerra dichiarata alla street art. O no? Da sempre murales, graffiti e scritte sui muri attraggono l’attenzione, gridano slogan, indispongono o colpiscono per l’efficacia delle parole, per la forza di segni e colori. Così uno street artist come Banksy ha alle costole la polizia di New York, ma le sue opere fuorilegge arrivano a sfiorare quotazioni da quasi due milioni di dollari. Più vicino a noi, a Bologna, due mesi fa la polizia municipale del sindaco Virginio Merola denuncia la street artist Alicè per il reato di “imbrattamento reiterato”. L’artista, all’anagrafe Alice Pasquini, ha infatti ammesso di aver disegnato ragazzi e bambini un po’ sognanti a una fermata della Bolognina, ma anche in spazi del centro storico, come via Zamboni, via Centotrecento, via del Pratello e via Mascarella. Da questo mese poi, sempre a Bologna, parte l’azione della squadra anti-graffiti. Il Comune stanzia 500mila euro e coinvolge tre cooperative sociali della città che, per tutto il 2014, andranno prima a ripulire i muri, poi a ritinteggiarli applicando una vernice protettiva per facilitare eventuali, prossime rimozioni.

Ferrara, invece, sceglie una terza via: non denuncia e non finanzia squadre di cancellatori, ma punta al dialogo per sostenere questa forma di espressione. L’appoggio arriva niente meno che dall’amministrazione comunale, assessorato alle politiche giovanili. In cambio del supporto istituzionale, agli appassionati di spray e scritte viene chiesto di presentare uno schizzo del disegno, di limitarsi a colorare edifici autorizzati, che il Comune ha in gestione, fuori dal centro storico e soprattutto mai su muri di palazzi o monumenti storici. Succede dal 2007 con un progetto che si chiama “Graffi a Fe”.

Chi avesse voglia di vedere quello che il gruppo di ragazzi realizza chiamando in aiuto anche street artist di altre città italiane può mettere scarpe comode o, ancora meglio, salire in sella a una bici. Il tour dell’arte di strada scorre ai margini di quella del Rinascimento estense. Le opere più recenti sono quelle del Palapalestre, il palazzetto sportivo di via Tumiati, angolo con Porta Catena. Lì un anno fa – racconta il referente di Area Giovani del Comune, Mario Zappaterra – si realizza il lavoro in collaborazione tra amministrazione cittadina e sezione ferrarese del Coni, il Comitato olimpico nazionale italiano. L’obiettivo: dare vivacità alla zona, abbastanza anonima, e al palazzetto. Tremila euro di investimento tra impalcature, strutture, autogru e vernici e un’indicazione di massima, che è quella di mantenere la creatività in ambito sportivo. Il risultato? Quattro pareti colorate che vedono da un lato due giganteschi pugili e un arbitro, da quello opposto un giocatore di basket, sul retro una sorta di striscia a tema sentimentale, e, sulla facciata d’ingresso, palloni con guantoni, spada da scherma e segni colorati.

Con in tasca un tesserino di autorizzazione del Comune, i graffitari ferraresi nella primavera del 2012 hanno disegnato giganteschi bambini sulle pareti in cemento della scuola elementare Don Milani, via Pacinotti 48. Nell’autunno 2011 il festival “Internazionale” include nel suo programma il loro intervento artistico nell’area del parcheggio di Rampari di San Paolo. Sul grande muro in cemento senza finestre si materializza il personaggio di Doc, lo scienziato visionario protagonista del film “Ritorno al futuro”. Tra gli altri interventi autorizzati: quello del sottopasso di via Verga; il murales della scuola Itis, via Pontegradella 25; la sede di Area Giovani, via Labriola 11; quella del centro di partecipazione giovanile L’Urlo nel quartiere di Barco, via Bentivoglio 215. Nuovi disegni, poi, ogni tanto si sovrappongono e coprono o modificano quelli precedenti in una continua evoluzione.

Oltre a castello, duomo e pampato, Ferrara è anche questo. Muri che si trasformano in un panorama inaspettato per farci guardare il mondo con altri occhi.

Vedi la galleria delle immagini

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La Peppa Pig: il successo di una famiglia “ideale”

Basta guardarsi intorno, dai negozi di giocattoli, ai supermercati alimentari, fino agli autogrill in autostrada: dovunque il mito della Peppa Pig imperversa: magliette, tazze, zaini, libri, CD, gadget. Alla televisione, sui canali dedicati all’intrattenimento dei piccoli è questo il cartone che riceve maggiore spazio. Peppa Pig è un cartone animato britannico, creato nel 2004 e diretto ad un pubblico di bambini: ogni episodio è di cinque minuti.
Della Peppa sappiamo tutto: ha un padre, una madre, un fratellino, un nonno e una nonna. Ci sono personaggi minori di contorno: un coniglio, un orso, una pecora e molti altri.
Peppa è la figlia maggiore di Papà Pig e Mamma Pig. Frequenta la scuola materna, è simpatica e ubbidiente. Ama giocare con il suo fratellino George, che ha due anni e la passione dei dinosauri. Come la gran parte dei bambini, George non ama le verdure, ma adora le torte al cioccolato; George è timido, ma sa fischiare bene, suona un corno ed è un eccellente pattinatore sul ghiaccio.
La Peppa e il fratellino sono svegli ed educati, pronti a farsi coinvolgere in ogni iniziativa politicamente corretta che i genitori propongano loro, compresa quella della raccolta differenziata o della semina delle verdure nell’orto.
Le situazioni sono quelle della vita quotidiana, con gioie e problemi universali. Tutti i ruoli sono rispettati. Il padre è colui che padroneggia il sapere (risolve equazioni matematiche difficili), ma non sempre ha sufficiente buonsenso nella vita quotidiana; è però un ottimo ballerino, un bravo pittore, un valido batterista e suona la fisarmonica. La madre è una casalinga che lavora da casa tramite il computer. Viene descritta come diligente e attenta – che altre doti dovrebbe avere una madre? Perfettamente pacificata nella doppia presenza – avremmo detto in altri tempi – è una cuoca provetta e sforna deliziosi biscotti e torte di cioccolato. Il nonno è saggio, colto ma anche divertente. Organizza spesso vari giochi e divertimenti per i piccoli ed è abile nel riparare oggetti. Ha la passione per l’astronomia e ha un orto dove coltiva piantine di pomodori e ha alberi di mele. La nonna coltiva l’orto – e perché poi le nonne dovrebbero fare altro, una volta raggiunta un’età compatibile con la pensione? Ama la tranquillità, ha tre galline ed è una appassionata collezionatrice di cappellini. Anche le nonne possono permettersi un tocco di patetica civetteria, si sa!
Un idilliaco quadretto rassicurante, un mondo perfetto, non c’è che dire, in cui tutti sono disposti a cooperare e a trovare soluzioni per i piccoli guai di ogni giorno. Tutti hanno tempo da condividere, non c’è ombra di stanchezza in quella famiglia.
Maialini e maialine, come femmine e maschi di ogni specie, sanno qual è il loro posto nel mondo: i maschi coltivano doti di ingegno e le femmine doti di mitezza e di cura! Sarà questa la ragione del successo del cartone animato? Tante situazioni di vita quotidiana risolte in un idilliaco quadro di giochi e di comprensione reciproca.
Questo mondo “perfetto” mi sembra, in realtà, molto vecchio e stucchevole nella sua pretesa di annullare ogni contraddizione. Eppure, pare che oggi nessuno si ponga più il problema di contrastare gli stereotipi di genere, né con diversi modelli di comportamento e, neppure, con proposte di gioco meno segnate dai luoghi comuni.

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Gestione integrata dei servizi con un occhio ai bisogni e l’altro all’ambiente

Rifiuti e acqua sono comparti strategici in cui prevale l’esigenza di soddisfare bisogni individuali, ma su cui pesano importanti esigenze ambientali collettive connesse all’utilizzo sostenibile delle risorse naturali e dunque riconducibili a linee di politica ambientale.
Le forti implicazioni territoriali di questi due settori sono evidenti così come fondamentale è l’esigenza di ricercare soddisfacenti soluzioni locali. Si tratta di una importante scelta di fondo perché fa prevalere la componente ambientale rispetto a quella del mercato dei servizi pubblici. E’ sentita dunque la necessità di affrontare questo comparto con riguardo all’impatto sull’ambiente e al contempo con modalità di gestione attente all’efficienza produttiva e all’organizzazione industriale. Entrambi i settori risentono infatti di una cronica carenza di servizio e di regolazione dell’offerta; deve dunque essere ricercato un necessario equilibrio tra soddisfazione di bisogni ambientali collettivi ed esigenze di politica industriale. Se da una parte dunque è riconosciuta una reale arretratezza del settore dall’altro lato però complessivamente si deve considerare come il settore sia economicamente interessante e soprattutto socialmente indispensabile. Il forte processo di trasformazione in atto è quindi promosso da spinte marcatamente innovative sia istituzionali che imprenditoriali orientate a favorire la realizzazione di sistemi integrati, di ambiti territoriali omogenei, di sviluppi impiantistici con coinvolgimento industriale.
E’ in crescita comunque la gestione integrata dei servizi energetici ed ambientali sia per i processi di unificazione avvenuti in molte città sia per la costante implementazione delle competenze operative delle aziende pubbliche che nel tempo stanno sviluppando crescenti capacità competitive su un mercato complessivo dei servizi collettivi. La modernizzazione passa infatti attraverso la capacità di accedere a risorse (economiche, tecnologiche, umane) che si originano su mercati sempre più dinamici ed aperti; ai gestori si chiede di realizzare cicli tecnologici sofisticati e di organizzare la filiera. Mentre la competizione non è più quella tra modelli organizzativi (ad esempio pubblico-privato), ma tra filiere tecnologiche, variamente coordinate e integrate, nelle quali pubblico e privato non sono antagonisti, ma funzionali l’uno all’altro. Si sta avviando dunque un contesto altamente dinamico nel quale si mescolano efficacemente molte variabili che vanno dalla efficacia della pianificazione, alla capacità di ottenere consenso, al legame con il territorio, alla capacità organizzativa, a cicli tecnologici sofisticati, alla capacità di aggregare settori contigui (mercato materie seconde, produttori-distributori…), all’accesso a risorse economiche, finanziarie, umane, tecnologiche in un mercato competitivo spesso internazionale. Nel quadro di economie aperte occorre avere una forte capacità di innovazione delle istituzioni e degli strumenti di governo del territori; definizione di progetti di sviluppo, ricerca di soluzioni ai problemi di coordinamento (di politiche, di strumenti e di risorse) e di compartecipazione (di soggetti pubblici e privati) a livello territoriale.
L’obiettivo è di migliorare l’efficienza economica e la qualità dei servizi idrici integrati e dei servizi di gestione dei rifiuti urbani, insieme.

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“I problemi del grattacielo non si risolvono con la Stu”

di Lanfranco Viola

Gentile direttore,
con l’avvicinarsi del nuovo anno desidero rivolgere un pensiero ad una piccola parte di cittadini che sicuramente, proprio in questo periodo, si sentiranno ancor più trascurati da un “potere” sempre più auto referenziale e miope che non sembra essere capace di vedere più in la del proprio naso temporale.
Mi riferisco a tutti gli incolpevoli abitanti del grattacielo, a fianco della Stazione Ferroviaria. Avevo già letto delle disgraziate vicende nelle quali erano stati coinvolti, ma credevo che, nel frattempo, qualcuno dell’amministrazione Comunale avesse iniziato ad occuparsene, visto che nello stesso vi è stato da mesi lo stop del riscaldamento e da una settimana sembra che neppure gli ascensori funzionano più.
Le dichiarazioni del primo cittadino, rilasciate in occasione della conferenza stampa di fine anno di cui riporto alcuni brani, però mi hanno lasciato di stucco.
“Abbiamo già (?) una società la STU Società di Trasformazione Urbana attraverso cui siamo pronti a ragionare [cosa significa?] per contrastare le svalutazioni [quindi non per far tornare il complesso vivibile] e le possibili speculazioni successive (?).
Ma fino ad oggi nessun fondo imprese si è fatto avanti. [omissis] La nostra disponibilità -assicura il sindaco- è totale, ma il quadro deve essere chiaro [omissis]. Come Comune abbiamo già liberato i 24 appartamenti ACER in locazione”. Fine della storia: abbiamo altro di cui occuparci.
A parte il fatto che la Stazione è una delle porte di accesso dei futuri viaggiatori di EXPO 2015, ammesso che qualcuno riesca a far fermare nuovamente i treni ad Alta Velocità per quell’evento, come ha affermato avventatamente il presidente della Camera di Commercio, comunico a tutti che come esistono Slums orrizzontali, se trascurati, possono crescere anche Slums verticali in pieno Centro.
Ipotizzare seriamente che se ne possa occupare la STU Ferrara Immobiliare spa, che possiede un capitale sociale sottoscritto di soli 230.000 euro significa affermare di voler credere nella Befana, nella speranza vana di scaricargli questa patata bollente, augurandosi che sia lei volando con la sua scopa, sopra a palazzo Ducale a risolvere questo problema.
Purtoppo noi, un po’ cresciuti, abbiamo smesso di credere nelle favole da tempo immemorabile.
Forse invece a Ferrara il suo sindaco ci crede ancora. Per cosa fosse nata nel Luglio 2007 la STU Ferrara Immobiliare spa, lo si può leggere al link http://urbanistica.comune.fe.it/index.phtml?id=190
Cosa abbia poi effettivamente realizzato in questi primi 6 anni di vita sarei curioso di saperlo. Ma sopratutto cosa sia in grado di fare per risolvere il “problema” del grattacielo credo sia un vero “Pacco” (regalo), per la cittadinanza, visto anche che nessuno ne parla, alla faccia del giornalismo d’inchiesta.
Solo una città dove le Istituzioni sono in grado di risolvere i problemi, se non di tutti, almeno di qualcuno dei suoi contribuenti, può essere una città accogliente e solo una città accogliente, può anche diventare una città turistica, prima o poi.
Non dimenticatelo mai; per cui a lei Direttore ed a tutti gli Uomini di Buona Volontà, ma solo a loro, invio i miei più sinceri auguri.
Arch. Lanfranco Viola

berna

Il peso dell’italianità

Conosco la città di Berna per lunghe frequentazioni svolte in un numero assai rispettabile di anni. In quella civile città un po’ noiosetta come si può presumere dal suo ruolo di capitale politica della confederazione svizzera ho molti amici e conoscenti che vanno dal detentore della cattedra di letteratura italiana all’Università mio amatissimo giovane collega e allievo e in più, che non fa male, ferrarese! Stefano Prandi. L’amica di una vita Margherita Visentini con cui da tempo immemorabile collaboriamo sulla storia del giardino che insegna al Politecnico di Milano, figlia del ministro Visentini e moglie di un grandissimo ricercatore Angelo Azzi a cui fu affidato un importantissimo istituto di ricerca a Berna . E, tra gli altri conoscenti, altri veri amici tra cui il mio dentista che alla sua morte fu sostituito da una figlia all’avanguardia nella ricerca odontoiatrica Luisa la cui madre Serena, fiorentina, è stata per anni responsabile della Dante Alighieri. Non è per esibire patenti di nobiltà culturali ma per dire che nella civile Svizzera e ancor nella più civile Berna, il sindaco si è lasciato andare seppur, dice lui in un momento di “comicità, che non rinnega, i suoi intollerabili commenti sulla natura e il fisico degli italiani. Non credo che il signor Alexander Tschäppät, sindaco socialista di Berna avrebbe ripetuto le stesse insultanti offese alle cene eleganti dove sarebbero stati presenti i miei amici. E questo è ancora più grave perché i giudizi erano stati pronunciati in uno sketch di un quarto d’ora sul palco di uno spettacolo itinerante: alcuni giudizi? “ Gli italiani e i napoletani? Troppo pigri per lavorare” o che sono tali perché di bassa statura. Ignobile. Il peggio è che non ha ritenuto opportuno ritrattare. Anzi! Sembra quasi che sia stato fatto apposta come prodromo ad una campagna anti-immigrazione. E’ inutile commentare quale sia stata l’odissea dei lavoratori italiani in Svizzera. Libri, film, documenti sono stati già esibiti. E se ora non gli italiani di Svizzera ma gli italiani che sono diventati svizzeri non protestano con dignità e rigore queste parole umilieranno soprattutto la città di Berna dove spero che mister Tschäppät non sarà più ricevuto dalla comunità italiana della città. E io so bene quanto sia importante essere ricevuto nei circoli che contano! Si possono accettare e rovesciare in fatti positivi certi atteggiamenti che danno noia proprio per la loro “elveticità” Ricordo con stupore e incredulità l’episodio che mi coinvolse un giorno con la mia canina Lilla a cui diligentemente avevo fatto fare i bisogni in giardino. Uscì la poverina e incautamente fece pipì vicino ad un albero. Apriti cielo! Signore urlanti mi chiesero minacciosamente come avevo osato non provvedere. Commentando “ i soliti italiani!” Poi ho capito. Quando si portano i bambini a giocare con i cani nei parchi in zona a loro rigorosamente riservata , i bambini sono muniti di carte asciuganti che diligentemente devono usare per assorbire le pipì dei loro compagni di gioco. Potrei commentare “ i soliti svizzeri!” ma il razzismo è cattivo consigliere. Quanta amarezza in tutto questo. E ora che lo scandalo italiano dell’immigrazione sta pian piano esaurendosi non è male ricordare quello che noi abbiamo patito e che ora verrebbe riproposto salvo poi prosperare sull’evasione fiscale dei paradisi svizzeri. Sono soprattutto amareggiato perché non ce lo meritiamo. Ma nella virtuosa Svizzera, nell’elegante Berna il sindaco questo ce lo poteva risparmiare. E se volessi essere snob che è l’unico atteggiamento per me di ricambiare i giudizi incauti direi “ che cattivo gusto!” che per lui sarebbe il massimo dell’offesa, essendo un poveretto in cerca di notorietà.

bradamante

Lo sguardo femminile nel romanzo storico ferrarese

MARTA MALAGUTTI DOMENEGHETTI
a 90 anni dalla nascita

Laureata in Lettere e Filosofia, dopo aver insegnato per molti anni Marta Malagutti Domeneghetti (1923-2011) ha esordito come scrittrice alla bella età di sessantanove anni, pubblicando Sui passi di Marchesella. Cronache ferraresi del XII secolo (1992), il primo degli originali romanzi storici con i quali si è meritata il valore letterario oggi riconosciutole. In questo prediletto ambito autoriale ha in seguito dato alle stampe: Olimpia Morata (1995), Marietta. Una patriota del Risorgimento ferrarese (1996), Cubitosa d’Este. La marchesa degli incantesimi nella Ferrara del XIII secolo (1999), Bianca Maria d’Este e l’enigma di Schifanoia (2003), La vergine e l’unicorno. Polissena d’Este Romei (2006) e Bradamante d’Este e l’infamia di Zenzalino (2009). L’atipicità di questi romanzi storici, tutti dedicati a straordinarie figure femminili, risiede nella struttura letteraria adottata, quella della narrazione in “prima persona”, mediante l’identificazione diretta dell’autrice con la protagonista.
Quantunque, al riguardo, osservi acutamente lo studioso Claudio Cazzola nella sua prefazione a La vergine e l’unicorno. Polissena d’Este Romei: «Sgombriamo immediatamente il campo da un possibile ed insidioso equivoco, quello cioè di ricorrere al nome dell’Autrice e, di conseguenza, giungere all’ovvia e perciò banale spiegazione dell’artificio adottato mediante la identificazione fra le due figure (Polissena e l’Autrice). L’assunto viceversa è un altro, qual è quello di osservare, e descrivere, i fatti con occhi femminili – subalterni per tradizione antropologica e proprio per questo capaci di vedere altro – e nel contempo di svelare, attraverso la scrittura di sé, quanta potenza repressa sia nascosta nelle pieghe del cuore di una donna, quando essa sia costretta dalle convenzioni sociali a subire decisioni altrui, e maschili».
Marta Malagutti Domeneghetti ha scritto vari altri libri, sperimentando diversi generi letterari, in particolare ha pubblicato volumi in forma semi diaristica e sillogi poetiche: Viale per l’infinito (1994), Quando i poeti si innamorano (1995), Cammin… poetando (1996), Il segreto del Verginese (1996), La cà in rosa e àltar culór (1997), Io e la guerra, una scomoda convivenza (1998), Con penna e pennello in giro per l’Europa (1998), A.A.A. Liriche dal mondo (1999), Ferrara. Frammenti di storia in versi (2000, illustrazioni di Rosamaria Benini).
Il suo ultimo romanzo storico è Bradamante d’Este e l’infamia di Zenzalino: quasi un “noir rinascimentale”. Scrive infatti Riccardo Roversi nella nota di copertina: «Bradamante è nome illustre e avventuroso: è infatti l’eroina che compare nell’Orlando innamorato del Boiardo e nell’Orlando furioso dell’Ariosto, nonché un personaggio de Il cavaliere inesistente di Calvino. Ma la Bradamante d’Este qui rievocata – e letterariamente sublimata – da Marta Malagutti Domeneghetti è, insieme alla sorella Marfisa, figlia illegittima di Francesco d’Este […]. Bradamante sposò il conte Ercole Bevilacqua, che in seguito si invaghì della bella Anna Guarini (figlia del poeta Giovan Battista Guarini), la quale nel 1585 si sposò con il conte Ercole Trotti, che la assassinò nel 1598 dopo averla accusata, ingiustamente, di aver intrattenuto una relazione appunto con Ercole, marito di Bradamante. Arte, amore e infamie: sono gli ingredienti di questo giallo storico che avvince, commuove e che narra, quasi in metempsicosi con l’autrice, attraverso l’autentica voce della protagonista: proprio lei, Bradamante».

[Tratto dal libro di Riccardo Roversi, 50 Letterati Ferraresi, Este Edition, 2013]

massimo-masotti

L’irreprensibile Masotti, il fascio-razzista Hyde

masotti-mussolinimasotti-kyangeApparenza garbata, battuta pronta e spesso tagliente, incedere raffinato, modi signorili. Ma dietro all’affabile dottor Massimo Masotti, vicepresidente dell’Ordine dei medici di Ferrara e rispettato addetto alle relazioni esterne dei Lions, si cela un mister Hyde apologeta del peggior fascismo, quello condito in salsa razzista.
Così, l’irreprensibile medico dalla sua pagina Facebook esibisce la passione del alter ego per il duce, che in elmetto se la piglia con gli immigrati; e ne mostra la vena goliardica, laddove sbeffeggia il ministro Kyenge o appella con pesante ironia la presidente della Camera.
Scoperta la morbosa nostalgia per il Ventennio del Masotti-Hyde, possiamo ben immaginare a quale dottrina si ispiri il dottore quando, trasognato, ordina ai pazienti di dire ’33…

Leggi anche: Tre interrogativi attorno al caso Masotti

 

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“Più controlli e meno tasse”. Intanto gli evasori godono di autorevoli indulgenze

Nonostante i fiumi d’inchiostro versati e i timpani quasi sfondati dal tanto vociare, non è ancora ben chiaro se in Italia ci sia tanta evasione fiscale (sui 200 miliardi di euro) perché le tasse sono alte, oppure l’inverso.
Di certo non sta bene se ad essere comprensivi sul fenomeno sono proprio gli uomini delle istituzioni. Alcuni elogiano il parlare chiaro di certe lingue non di legno, finalmente sintonizzate sul sentire comune.
Il problema è che la politica non dovrebbe lisciare il pelo a quelli che scantonano. Primo, perché coloro che non lo fanno (o che non lo possono fare) fanno la figura dei cornuti e mazziati, il che alla lunga sbriciola, e non unisce, un paese, se proprio si vuole usare la parola responsabilità per quello che vuol dire.
Secondo, perché la politica dovrebbe prendere provvedimenti e parlare di meno. È sconsolante che nel 2013 dopo Cristo, si debba ancora puntualizzare cose che dovrebbero essere l’a-b-c della cultura istituzionale.
Ma torniamo alle tasse. Stando al documento di economia e finanza del governo, in Italia la pressione fiscale nel 2013 è al 44,4 per cento. Lo scrivono Renzo Orsi, Davide Raggi e Francesco Turino su www.lavoce.info e il divario rispetto alla media europea è di almeno cinque punti.
Se non si fosse capito, qui i cattivi siamo noi.
Sembra che qualcuno abbia voluto considerare il quattro il numero perfetto. Andando dritti al dunque, da studi e curve tirate su assi cartesiani emerge che più alte sono le tasse e maggiore la tendenza a non pagarle.
È necessario, quindi, che la pressione fiscale diminuisca. Tanto che, scrivono i tre, chi volesse spingersi oltre tali vertici di spremitura deve sapere che il risultato è addirittura una riduzione del gettito, cioè di quanto entra in cassa.
Fin qui tutto chiaro.
Ma come fare in concreto, visto che in tanti dicono che la pressione deve calare, mentre il risultato è sempre il contrario?
Gli autori dell’articolo Ridurre le tasse si deve prendono in considerazione tre scenari: l’ipotesi abbassamento di due punti percentuali della pressione su famiglie e imprese, l’aumento dei controlli della Guardia di finanza ad aliquote invariate e, infine, un mix di queste due leve.
Conti alla mano, solo la terza opzione garantirebbe il risultato ottimale di non creare buchi nei conti pubblici e nello stesso tempo disincentivare l’evasione, oltre a lasciare in giro più soldi per sostenere consumi e crescita.
Con il primo sistema, infatti, calando semplicemente le tasse bisogna essere consapevoli che si andrebbe incontro inizialmente ad almeno dieci trimestri di minor gettito.
Hai voglia poi a pretendere dall’inquilino del momento a Palazzo Chigi che vada a picchiare i pugni sui tavoli di Bruxelles, se alla domanda come siamo messi col pareggio di bilancio, nel frattempo scritto in Costituzione, si diventa rossi di vergogna.
Nemmeno la strada dei soli controlli sembra dare risultati migliori. Nel breve periodo aumenterebbero in effetti le entrate pubbliche, ma parallelamente diminuirebbero gli euro nelle tasche dei privati. Il risultato finale è che in giro ci sarebbero meno soldi da spendere, l’economia si avviterebbe e alla fine anche lo Stato rimarrebbe in braghe di tela.
Detto così, sembra tutto logico.
Eppure ciò a cui abbiamo assistito in questi mesi fra governo e parlamento è degno del film Profondo rosso, soprattutto per il ragioniere generale dello Stato.
Prima qualcuno ha addirittura promesso agli italiani in campagna elettorale che avrebbe restituito l’Imu 2012.
Come spesso accade, deve essere caduta la linea. Poi c’è stato il tira e molla sull’eliminazione dell’imposta sulla prima casa, con coperture finanziarie che andavano e venivano come i passeggeri di un autobus, e la parallela sostituzione con Tasi, Tari, Trise, Tares e, infine, Iuc.
Almeno due le conseguenze di una manovra i cui stessi genitori hanno detto che sarebbe spettato al parlamento migliorarla nei punti deboli, salvo poi puntare il dito sulle Camere se dopo la raffica di emendamenti nessuno sa più quale sia la testa e la coda.
La prima è il buco che si verrebbe a creare nelle casse dei Comuni dopo questa polka tributaria, con il rischio in più, è stato scritto, di far pagare poco a chi ha tanto e troppo a chi non ha più nemmeno gli occhi per piangere.
La seconda è che cresce la sensazione, in una politica fiscale sempre più simile al gioco delle tre carte, di pagare di più la tassa nuova di quella che è stata appena eliminata con tanto di lieto annuncio dato via etere agli italiani.
Il tutto mentre, da un lato, per settimane si è disquisito sulla ventina di euro in più in busta paga per l’abbassamento del cuneo fiscale e, dall’altro, si viene a sapere che la politica in Italia costa 23 miliardi l’anno, cioè più di 750 euro a cittadino.
Come ha detto una volta un giornalista sportivo: sono cose che fanno male al calcio e allo sport in generale.

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Austria, Svezia e Germania leader nel trattamento dei rifiuti ma l’Italia non sfigura

di Mario Sunseri

2.SEGUE – E arriviamo al nostro mondo, che ora forse, dopo aver provato a non guardare fissamente solo a noi stessi, non ci appare più così arretrato nell’affrontare il problema. Europa, Giappone, Corea sono leader nella gestione rifiuti e l’Italia ha molto di cui andare fiera: alcune Regioni hanno i più alti livelli di riciclaggio al mondo, sono attivi numerosi impianti moderni che trattano i rifiuti organici, recuperano energia sia attraverso il trattamento termico che la digestione anaerobica, si raggiungono buoni livelli di riciclaggio degli imballaggi, e sono attivi schemi di responsabilità dei produttori per numerosi tipi di rifiuti, tra cui batterie, oli esausti, veicoli a fine vita, rifiuti elettrici ed elettronici. Con rare eccezioni, i nostri cittadini non devono affrontare i rischi sanitari dei rifiuti abbandonati e i nostri fiumi, città, coste sono in genere liberi dai rifiuti. Ma questo costa: ognuno paga in media circa quasi 200 €/a per garantire questi livelli di sicurezza ma, come il Sud Italia dimostra, non sempre ci riusciamo. Spesso ci si sente chiedere “quale nazione ha il sistema migliore?”. Prima di tutto ci si dovrebbe chiedere cosa si vuole dal ‘sistema’: è più importante il recupero dei materiali per le industrie nazionali o il recupero di calore ed energia per le case e le attività dei cittadini. Vi è però un consenso diffuso tra gli esperti e le industrie del settore sul fatto che nazioni quali Austria, Svezia, Germania abbiano messo in opera sistemi di gestione efficaci: riciclaggio attorno al 50%, recupero energetico attorno al 50%, basso ricorso alla discarica. I rifiuti biodegradabili non sono avviati a discarica, non ci sono abbandoni illegali, i controlli pubblici sono elevati e i rischi sanitari sono controllati e rimangono al di sotto delle soglie stabilite come accettabili.
Un altro tema delicato è il commercio dei rifiuti e in particolare quelli pericolosi. Nel 2007 i rifiuti pericolosi commercializzati nel mondo sono stati 191 milioni di tonnellate, ma in che direzione si sono mossi? La percentuale di rifiuti esportati è correlata direttamente al reddito nazionale: più si è ricchi più si consuma e più si esporta. Le cose cambiano per l’importazione: anche se le nazioni di vecchia industrializzazione, soprattutto quelle come la Germania dotate di impianti di trattamento dei rifiuti pericolosi, importano le quantità maggiori, le nazioni in via di sviluppo importano rifiuti in maniera sproporzionata, 39%, rispetto alla loro percentuale di reddito globale, 22%. E questi sono solo i dati ufficiali, che non riescono a dare conto dei traffici illegali. Il fatto che il 39% dei rifiuti del mondo nel 2007 si è mosso verso paesi non-Ocse, che non sono in grado di gestire adeguatamente un flusso così elevato, indipendentemente dal fatto che siano pericolosi o meno, è indicazione dell’enorme pressione ambientale e sociale esercitata verso nazioni in condizioni di fragilità normativa e economica e prive delle strutture industriali adeguate a trattare i rifiuti pericolosi.
In conclusione il mondo è diventato più ricco e uno dei prezzi pagati sono i nostri rifiuti. Dobbiamo spostare le risorse verso attività più sobrie: ripulire e riordinare. I migliori sistemi di gestione rifiuti e le tecnologie messi alla prova nei paesi industrializzati devono essere resi disponibili a scala globale, per essere adattati alle diverse realtà nazionali. Le risorse messe in campo devono essere raccolte distribuite per rendere efficaci ed efficienti i risultati a livello globale e non solo locale. Un piccolo incremento dell’impegno economico dedicato nei paesi industrializzati comporterebbe risultati enormi dal punto di vista ambientale se utilizzo per migliorare i sistemi di gestione dei rifiuti nei paesi a basso reddito.
Questa è la missione che Iswa si è data e che diviene sempre più urgente al crescere di popolazione, ricchezza e consumi: promuovere una gestione rifiuti sostenibile nel mondo (si veda www.iswa.org e www.atiaiswa.it).

2 – FINE

Leggi la prima parte

Sintesi dell’articolo pubblicato nel magazine Equilibri 79 (rivista pubblicata dal COOU, Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati)  “Gestione dei rifiuti urbani e pericolosi: il Pianeta è divisa in tre mondi diversi” scritto da David Newman, il Presidente dell’Associazione ATIA ISWA Italia, Mario Sunseri, membro del Consiglio Direttivo e direttore di www.rifiutilab.it e Simonetta Tunesi, membro del Comitato Tecnico.

rifiuti

Rifiuti, un business da 300 miliardi di euro con contorno di inquinamento e malattie

di Mario Sunseri

Trattando di rifiuti si deve tenere ben presente la prospettiva da cui si fanno le osservazioni ed esprimono i giudizi; ciò che succede in Africa è profondamente diverso da quanto succede in Italia e nelle nazioni industrializzate. Nel mondo si producono circa 4 miliardi di tonnellate annue di rifiuti, di cui circa la metà rifiuti domestici, l’industria dei rifiuti ha un fatturato di 420 miliardi di dollari (circa 300 miliardi di euro) e occupa 20 milioni di lavoratori: un impresa colossale. Altri 20 milioni di persone lavorano non ufficialmente nel raccogliere, separare manualmente, riciclare. Solo il 18% è riciclato, un 12% incenerito. Il resto finisce in discariche o in mucchi all’aria aperta. Ma le statistiche globali non restituiscono la realtà nella sua complessità: scomponiamo quindi l’analisi in tre gruppi di nazioni.
In un primo gruppo: la metà della popolazione mondiale non ha accesso al servizio di raccolta rifiuti; il 70% è gettato in discariche spesso non gestite; milioni dei più poveri vivono sopra o attorno a questi siti, recuperando piccole quantità di materiali da rivendere per riciclaggio. In Asia, Africa, America Latina, le città crescono rapidamente, le popolazioni urbane si arricchiscono, consumano di più e gettano più rifiuti, e le autorità locali non riescono a tenere il passo con la domanda di servizi locali, acqua, fognature, servizi sanitari, rifiuti e fornitura di energia. Nel mondo ogni settimana due milioni di persone si spostano in città. Si prevede che Lagos, 12 milioni di abitanti, raggiungerà nel 2100 gli 88 milioni. Questo stato di cose richiede di affrontare numerose emergenze, prima di tutte la salute. I rifiuti non trattati, formati per il 60% da materiale organico, includono carcasse di animali, rifiuti ospedalieri, industriali e pericolosi, trasmettono la malaria (le zanzare vi si riproducono), colera, tifo, malattie respiratorie, infezioni da contatto. Spesso ci si dimentica di un altro grave rischio: l’80% delle emissioni di diossina nelle nazioni in via di sviluppo viene dal bruciare i rifiuti all’aria aperta. C’è poi da ridurre l’impatto sui cambiamenti climatici: le discariche, in maggior grado quelle non gestite, sono a scala globale la terza sorgente di emissioni antropogeniche di metano. Il deposito di particelle carboniose incombuste, emesse dagli incendi in discarica, contribuisce a circa il 30% dello scioglimento dei ghiacci. Investimenti ingenti sono necessari in queste Nazioni per realizzare e mettere in opera i sistemi di raccolta e gli impianti di trattamento basilari; la Banca Mondiale stima che solo per attivare i sistemi di raccolta siano necessari 40 miliardi di dollari, mentre nel 2015, quando il volume dei rifiuti raddoppierà questa cifra raggiungerà 120 miliardi di dollari. Poi vi è il gruppo di nazioni, quali Brasile, Turchia, Europa dell’Est, il nord Africa, Sudafrica, in cui alcuni investimenti sono stati fatti, il 60-80% dei rifiuti è trattato e impianti di riciclaggio, discarica e trattamento sono operanti. Hanno le risorse per creare moderni sistemi di gestione rifiuti ma spesso non vi sono ancora le condizioni politiche per attuare le normative, far adottare sistemi di responsabilità del produttore, tassazioni, incentivi e promuovere il riciclaggio. Queste nazioni sono di fronte ad una curva di spesa in rapida crescita: un cittadino Serbo spende per i propri rifiuti circa 30 euro annui, cifra che salirà a 100 euro annui nel prossimo decennio, quando molte nazioni correranno per mettersi in pari con le normative europee. E’ in queste nazioni, con un sistema legislativo e fiscale in regola, che si aprono interessanti opportunità d’investimento a lungo termine. Mentre nelle nazioni povere – un cittadino di Giacarta spende 6 euro annui per la bolletta dei rifiuti – l’unico modo per recuperare gli investimenti è attraverso finanziamenti dai programmi di aiuto internazionale, perché le tasse locali o il valore dei materiali riciclati non potranno garantire un ritorno.

1 – CONTINUA

Sintesi dell’articolo pubblicato nel magazine Equilibri 79 (rivista pubblicata dal COOU, Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati)  “Gestione dei rifiuti urbani e pericolosi: il Pianeta è divisa in tre mondi diversi” scritto da David Newman, il Presidente dell’Associazione ATIA ISWA Italia, Mario Sunseri, membro del Consiglio Direttivo e direttore di www.rifiutilab.it e Simonetta Tunesi, membro del Comitato Tecnico.

tunnel

Cifre da brivido e mancanza di ‘governance’, l’economia ferrarese è seduta nel tunnel

Dei “Nuovi scenari dell’economia ferrarese e della città che cambia” si è parlato nei giorni scorsi in occasione della presentazione dell’annuario 2014 del Cds. Si è trattato di una prima occasione di analisi del ricco e stimolante materiale raccolto dal Centro ricerche documentazione e studi di Ferrara.
Gli interventi si sono soffermati su tre letture, relative alle più significative cifre locali raccolte dalla statistica, ai tratti urbanistici della città, e a qualche idea per il “che fare”, dopo una panoramica sulle grandezze macroeconomiche di ieri e del breve.
Ecco, di seguito, le cifre evidenziate per l’area ferrarese:
provincia di Ferrara: tasso di disoccupazione 11,1%, il più alto nel nord Italia nel 2012; salito all’11,8% nel 2013;
persi 8.000 posti di lavoro nel 2007/10 e fino a 10.000 ad oggi (di cui 5.000 fino a 44 anni) e nel triennio circa 4.000 giovani a casa dal lavoro;
in 5 anni di crisi ci sono stati 45 milioni di ore autorizzate di Cig;
indici di dotazione infrastrutturale, circa la metà di quelli della regione;
Ferrara la più indebolita rispetto alle altre provincie della regione;
Per secondo è stato sviluppato il discorso sulla città di Ferrara che cambia, evidenziando i nuovi strumenti urbanistici e i regolamenti relativi per poter cogliere i primi segnali di ripresa e favorire il cambiamento urbano.
Infine, terza relazione, il contesto socio-economico e, soprattutto, una proposta articolata in sette punti e che sintetizziamo.
1. attrazione di investimenti esterni con un nuovo marketing territoriale
2. estensione del sistema “duale” tedesco negli istituti tecnici e professionali
3. favorire la “transizione” scuola-lavoro
4. riduzione del debito pubblico
5. individuazione e diffusione di “buone pratiche
6. più risorse per i veri poveri e potenziamento del terzo settore
7. monitoraggio e customer satisfaction nella Pubblica amministrazione e con specifico riferimento al Comune di Ferrara

Credo sia sufficiente questo riassunto per capire che ci troviamo di fronte:
ad una città tutta concentrata su se stessa, anche se con alcune “chance”;
ad una provincia abbandonata e con territori indistinti e slegati dai contesti di crescita;
ad una gioventù “bruciata” e forse senza futuro;
a potenzialità inespresse, con stakeholders ed istituzioni non adeguate a esercitare governance e restie ad attivare strumenti, misure e risorse capaci di far cambiar passo al nostro territorio.
Quello che serve è: rompere la visione murata della città, mettere in rete i punti forti, a corona, dei territori che si collegano al capoluogo, anche con i luoghi di confine e fare sistema di distretti, dalla costa al centese, al rurale/ agroalimentare, da nuove aree attrezzate di nuova generazione al life natura/ambiente/turismi.
Al riguardo, da un po’, si sta sviluppando l’idea di costruire, con strumenti e fondi strutturali una sorta di nuovi “Patti territoriali” e “Contratti d’area”, ma si riscontrano tuttora resistenze, quasi a voler rimanere ancora nell’angolo tra via Emilia e dorsale centrale veneta, una vecchia storia ancora irrisolta.
Se poi perdiamo pezzi di territorio e di storia, se il Castello porterà un museo, se gran parte degli attori mancano ad appuntamenti come questo, un osservatorio importante ed indipendente, allora il tunnel ferrarese sarà sempre più lungo, ancora nel buio.
La luce forse arriverà, ma col rischio che sia troppo tardi: allora non avremo perso solo in cifre, si sarà dissolto una tessuto sociale.
Penso che non lo meritiamo.

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La Guantanamo d’Italia

Tanti anni fa andai in Somalia, come inviato de “il Giorno”, per intervistare Siad Barre, il dittatore che non molto tempo dopo sarebbe rimasto vittima di un attentato; aveva inventato il “socialismo scientifico” e lo slogan “Africa for africans”: era un personaggio interessante Siad Barre, aveva fatto la scuola militare a Modena, dove aveva assorbito i primi rudimenti di una socialdemocrazia, come si può dire?, capitalista, di cui Modena è stata grande e non sempre intelligente progettista riuscendo soltanto in modo formale a coniugare il capitalismo con una vera politica sociale, equazione mai riuscita ad alcuno, perché chi ha tentato la soluzione ha finito col vendersi al capitale (ogni riferimento a Giuliano Ferrara, a Bondi e amici è puramente casuale). Anche Barre s’inchinò al capitale (italiano), da qui l’amicizia con Craxi e la sua filosofia de “la barca va”. Finì a schifo, com’era prevedibile: in occasione di quel mio viaggio incontrai persone molto intriganti, soprattutto i vecchi, sopravissuti al colonialismo italiano e testimoni delle atrocità compiute in Africa dai nostri celebrati “esportatori di civiltà latina”. Noi italiani in quella plaga ne abbiamo fatte di tutti i colori, come le scudisciate in faccia al nero che per strada non salutava, pur non conoscendolo, il bianco italiano. Scrissi i miei articoli sfatando (o cercando di sfatare) il mito dell’italiano buono, caritatevole, tollerante. Scrissi che gli italiani sono un popolo razzista, ignorante, violento, genericamente fascista. Quelle testimonianze fornite dai vecchi somali, confortate dalle affermazioni di un anziano colono del nord d’Italia, sono finite in uno dei bellissimi libri di storia di Angelo Del Boca, il più importante storico del colonialismo italiano. Sono passati, dicevo, molti anni da quel mio viaggio e le mie convinzioni di allora vengono confortate ogni giorno da quel che avviene in questo nostro villaggio della nuova vita: il razzismo non è morto, come la violenza quando può essere esercitata in situazioni di sopraffazione, quando si agisce con la convinzione di essere dalla parte del potere. Quello che è avvenuto a Lampedusa, l’isola dei morti viventi, la Guantanamo italiana, è lì purtroppo a dimostrarlo, sono passati 68 anni dalla caduta del fascismo, ma il manganello nero è sempre pronto a colpire, noi italiani siamo inesorabilmente, inguaribilmente fascisti, il resto – mi pare – è bolsa retorica.

lente

La carica dei 101 per il primo mese di ferraraitalia

Ferraritalia festeggia il suo primo mese di vita con una vetrina ricca di 101 articoli di primo piano, una trentina di aforismi raccolti quotidianamente nella sezione Germogli e altrettanti Accordi, brani che hanno fatto da colonna sonora alle nostre giornate. Dal 26 novembre, data in cui ferraraitalia è online, abbiamo collezionato anche una prima serie di gallerie fotografiche a tema (fra le quali quelle aree sulla città, apprezzatissime, frutto di scatti realizzati con il drone) e immagini evocative a illustrare l’incedere del calendario.
Abbiamo raccolto, tra i tanti che ci sono stati manifestati, gli apprezzamenti e l’incoraggiamento di Massimo Gramellini. I lettori hanno esternato le loro opinioni con interventi (ospitati nell’apposita sezione) o commenti a specifici scritti, riportati sotto ciascuno di essi. Ha destato particolare attenzione e suscitato interesse l’inchiesta a puntate sull’ “oro del Pci”.
Per ferraraitalia nel corso di questo mese hanno scritto Fiorenzo Baratelli, Loredana Bondi, Francesca Carpanelli, Andrea Cirelli, Riccarda Dalbuoni, Barbara Diolati, Monica Forti, Maura Franchi, Sergio Gessi, Camilla Ghedini, Giuliano Guietti, Francesco Lavezzi, Virginia Malucelli, Giorgia Mazzotti, Alessandro Oliva, Silvia Poletti, Andrea Poli, Valentina Preti, Mauro Presini, Riccardo Roversi, Vittorio Sandri, Giuliano Sansonetti, Valentina Scabbia, Franco Stefani, Gian Pietro Testa, Gianni Venturi; sono inoltre intervenuti Enzo Barboni, Giorgio Bottoni, Leonardo Fiorentini, Giuseppe Fornaro, Lanfranco Viola. Hanno fotografato per noi: Aldo Gessi, Roberto Fontanelli, Luca Pasqualini. Alcuni fra i nostri opinionisti tengono rubriche settimanali. Sono cinque, per ora: Elogio del presente (di Maura Franchi), “Pepito Sbazzeguti” (di Francesco Lavezzi), Dalla parte del torto (di Fiorenzo Baratelli), Il villaggio della nuova vita (di Gian Pietro Testa), Memorabile (di Riccardo Roversi).
I lettori hanno la possibilità di consultare l’archivio attraverso una ricerca per parola chiave, utilizzando la finestrella in alto a destra nella home. Oppure per autore (cliccando sulla firma), per data (utilizzando il calendario nella barra laterale di destra), per genere (avvalendosi del menu a tendina posto sotto al calendario o cliccando sulle voci dell’elenco riportate in fondo alla home a sinistra, o ancora selezionando la relativa indicazione presente in testa a ogni articolo).
Cliccando qua si possono visualizzare e scorrere le 101 riflessioni di primo piano (dalle quali sono escluse solamente Aforismi, Germogli, Immaginario e interventi dei lettori).

tebaldeo

Il Tebaldeo, precettore di Lucrezia e virtuoso della “maniera cortigiana”

TEBALDEO
a 550 anni dalla nascita

Antonio Tebaldi (1463-1537), detto il Tebaldeo, entrò alla corte ferrarese nel 1488, fu precettore di Isabella d’Este e segretario prima del cardinale Ippolito e poi della bella Lucrezia Borgia. Successivamente si trasferì a Roma, dove godette dell’amicizia di insigni letterati quali Pietro Bembo e Baldassarre Castiglione e di grandi pittori come Raffaello Sanzio, il quale fra l’altro lo ritrasse nel suo celebre affresco del Parnaso. Durante il “sacco” di Roma, nel 1527, perse tutti i suoi beni e averi e trascorse in povertà gli ultimi anni di vita.
Il Tebaldeo raggiunse la notorietà grazie alle proprie opere giovanili in volgare, quantunque presso i critici più tardi, fra cui Giosue Carducci, questa parte della sua produzione non abbia mai colto consensi veramente positivi. Tuttavia, nel 1499 a Milano apparvero i Soneti, capituli, due ecloghe del prestantissimo M.A. Tebaldeo, ripubblicati a Venezia tre anni prima della morte dell’autore con il titolo L’opere d’amore, che lo consacrarono come uno dei maggiori esponenti della cosiddetta “maniera cortigiana”: una sorta di ingegnosa concettosità, di leziose divagazioni e compiaciute metafore, definibile quasi come una specie di manierismo ante litteram.
Comunque, Antonio Tebaldeo conseguì i suoi esiti più felici nella poesia latina. «Nel Tebaldeo ci sembra di ravvisare l’artista che affila il suo strumento dell’arte, – osserva il filologo Silvio Pasquazi – rivestendo di altri panni e forme il suo mondo interiore. In fondo egli assisteva non indifferente alla lotta tra il volgare e il latino, una lotta beninteso, non tra due rivali inconciliabili. La lima migliore del Tebaldeo consisteva nel sentire se tra un modo e un altro, tra una struttura sintattica più complessa e una più semplice, con un’aggettivazione più sobria e rara o più larga e distesa, la sua composizione si avvicinasse al “pathos” di un testo antico, come sapore e natura linguistica, e se potesse reggere nel confronto con gli altri testi, elaborati dagli amici suoi ferraresi».
Dalle risonanze e dalle aperte imitazioni che talvolta si riscontrano nei Carmina latini del Tebaldeo, si desume che egli ebbe in specie a maestri Ovidio, Virgilio, Tibullo, Catullo e Orazio, né gli furono estranei il modello greco di Pindaro e i modelli suoi contemporanei rappresentati dal Pontano, dal Panormita, dal Poliziano, da Pico della Mirandola, dal Boiardo. «A ragione, il Tebaldeo può ritenersi il più versatile dei poeti ferraresi, – afferma ancora Silvio Pasquazi – e se ha in comune con essi la predilezione per alcuni temi, in lui si avverte una rispondenza maggiore e uno stile più ricco e sostenuto, che rivela una conoscenza sicura e talora squisita dei modelli classici. Anch’egli pecca di ampollosità e di gonfiezza, ma è stato giustamente osservato che raramente cade nella sdolcinatura, e quel tanto di stanchezza che a momenti ingenera si deve alla ripetizione e alla vacuità di alcuni soggetti».

Tratto dal libro di Riccardo Roversi, 50 Letterati Ferraresi, Este Edition, 2013

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GERMOGLI
il Natale
di don Andrea Gallo…

“Mettiamocelo bene in testa: Gesù nasce nel cuore del popolo!
Il Natale oggi si rinnova nelle spiagge dei disperati dove la novità della “stranieritudine” cerca di dire con parole inascoltate il dramma di nascere e crescere fuori le mura, nelle mangiatoie di un mondo impoverito, divorato dalla fame, violentato dal terrore e dalla corruzione.
L’Italia non è come ce la raccontano: abbiamo creduto di crescere e stiamo declinando, la nostra presunta “modernizzazione, è un piano inclinato verso la fragilità e l’arretratezza.
E nello spazio, sempre più ampio che si apre tra presunto benessere e fatica quotidiana del vivere nascono l’invidia, i rancori, le intolleranze…
[…]
Caro Gesù, la ricchezza dei ricchi è diventata ‘intoccabile’.
Una parte consistente della nostra popolazione ha cessato di considerare garantito la propria aspirazione a una vita degna, finisce inevitabilmente per trasformare il gioco sociale e politico tra chi è costretto a chiedere “protezione” e chi in cambio, pretenderà fedeltà, consenso…
Con questi potenti, con noi, se diventiamo “servi” è devastata la democrazia…
Gesù bambino ti ringrazio della scintilla della “soggettività” antagonista sorta con i giovani, si vogliono riprendere il futuro.
Ragazzi, non abbandonate la creatività, senza violenza orchestrata, magari disobbedienza passiva.
[…]
La ferocia del lavoro senza la speranza dell’emancipazione, aver chiuso quell’orizzonte, aver spento quella ‘scintilla’ o aver lasciato che ciò avvenisse è il peccato capitale delle diverse sinistre politiche e sindacali di fine secolo.
Su quello, più che sulla caduta del Muro di Berlino si misura la loro disfatta.
Che siano già fuori della Storia? Ragazzi: resistete, con fantasia… indignazione… rabbia, trasformate in eventi!
[…]
A Natale, non contano le parole, conta il cuore!
Troviamo tutti il nostro “genio della fanciullezza”.

Don Andrea Gallo

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Il centro storico di Ferrara è un parcheggio incontrollato

Troppe auto circolano nella zona monumentale della città e troppe sostano a ridosso dei principali monumenti cittadini. Che ci sia un problema relativo ai parcheggi è stato riconosciuta anche dal sindaco della città, Tiziano Tagliani, interpellato in proposto da ferraraitalia a conclusione della tradizionale conferenza stampa che si è svolta come in municipio come di consueto nell’imminenza del natale. Pubblichiamo qua una serie di scatti effettuati in mattinata: le foto documentano incontrovertibilmente una situazione fuori controllo, non più tollerabile. Tanti veicoli nelle aree di maggior pregio rappresentano un sfregio alla bellezza di Ferrara.

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Piazza Savonarola invasa da auto e taxi
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Piazza Savonarola invasa da auto e taxi

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Piazza castello presa d’assalto dai veicoli

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Piazza Repubblica cinta dalle automobili

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In via Cairoli un’ininterrotta fila di auto in sosta

 

 

 

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Analfabetismo di ritorno e abbandono scolastico nuove piaghe d’Italia

Secondo gli ultimi dati pubblicati da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, l’Italia è tra i primi paesi europei per abbandono scolastico: il 17% dei nostri alunni lascia presto la scuola, con punte del 25% al Sud. Il tasso di abbandono scolastico è definito come la percentuale della popolazione di età compresa tra i 18 e i 24 anni che ha terminato soltanto l’istruzione secondaria inferiore o possiede un livello di istruzione ancora più basso, e non partecipa più al sistema di istruzione o formazione.
I nostri livelli sono molto lontani dalla media europea, scesa quest’anno al 12,7%. Secondo gli obbiettivi che la Commissione Europea ha dichiarato di voler raggiungere entro il 2020 nell’ambito dell’istruzione, il tasso di abbandono scolastico deve scendere al di sotto del 10% e il tasso di giovani laureati deve salire al di sopra del 40%. Dodici stati membri (Austria, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Svezia) hanno ormai tassi di abbandono scolastico inferiori all’obiettivo fissato dalla strategia europea, mentre l’Irlanda ha raggiunto per la prima volta questo traguardo. Nella graduatoria europea l’Italia si trova in fondo alla classifica, quart’ultima dopo Spagna (24,9%), Malta (22,6%) e Portogallo (20,8%).
Nel nostro paese il Molise è l’unica regione che ha raggiunto gli obiettivi europei, con un valore del 9,9%. L’Emilia-Romagna si trova al 15,3%. Le regioni con le performance peggiori sono la Sardegna (25,8%), la Sicilia (25%) e la Campania (21,8), dove sono più diffuse situazioni di disagio economico e sociale.
Il maggior numero di studenti che abbandona la scuola si registra negli istituti professionali, tecnici e artistici. L’abbandono minore si ha invece nei licei, soprattutto al classico. Passando a una distinzione di genere, la percentuale di maschi che esce dal percorso formativo è superiore a quella delle femmine, nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Anche questo fenomeno si verifica prevalentemente nel Mezzogiorno.
Tra gli stranieri che frequentano le scuole in Italia, la percentuale di abbandono rispetto agli italiani è di circa il doppio. Le difficoltà maggiori riguardano più gli studenti nati all’estero che quelli nati in Italia, che mostrano una migliore padronanza della lingua e un maggiore livello di integrazione.
L’Anief, l’associazione che riunisce gli insegnanti italiani, sostiene che “l’allontanamento dall’Europa in merito alla dispersione scolastica non è un dato casuale, ma è legato a doppio filo ai tagli a risorse e organici della scuola attuati negli ultimi anni”, che negli ultimi 6 anni hanno cancellato 200mila posti, sottratto 8 miliardi di euro e dissolto 400 istituti a seguito del cosiddetto dimensionamento.
Anche in ambito universitario i dati non sono incoraggianti: le immatricolazioni sono scese al 30% dei neo diplomati. Anche in questo caso l’Anief sottolinea i danni prodotti dalla progressiva riduzione del personale docente e dei corsi di laurea e dalla fuga dei ricercatori all’estero.
Per concludere, secondo alcune statistiche, non solo l’Italia è ultima su 32 paesi Ocse per la spesa per l’istruzione in percentuale della spesa pubblica, ma è anche fanalino di coda tra le nazioni europee. Sul fronte dei tagli all’istruzione in rapporto al Pil, l’Italia è il secondo paese che ha effettuato i tagli più pesanti dopo l’Ungheria. Non sarà un caso se l’analfabetismo di ritorno, che riguarda coloro che hanno posseduto le cognizioni elementari della lettura e della scrittura, ma poi le hanno poi perdute, nella nostra Penisola è in crescita. Il linguista Tullio De Mauro ha rilevato che più della metà degli italiani ha difficoltà a comprendere l’informazione scritta e molti anche quella parlata. Se l’analfabetismo totale in Italia si aggira intorno all’1%, l’analfabetismo di ritorno raggiunge punte del 28% per competenze nella lettura. Quando si passa a operazioni un po’ più complesse, come l’interpretazione di dati, grafici o tabelle, la percentuale sale al 32%.
Sempre secondo Tullio de Mauro, in una società de-alfabetizzata c’è un rischio per la tenuta della democrazia che “vive se c’è un buon livello di cultura diffusa. Se questo non c’è, le istituzioni democratiche – pur sempre migliori dei totalitarismi e dei fascismi – sono forme vuote”.

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I voltini rinascono in primavera, forse illuminati. Parola dell’assessore Nardini

Sembra avviata a buon esito anche la vicenda dei voltini che congiungono piazza Savonarola e piazza Castello e collegano internamente, tramite la soprastante via Coperta, il palazzo comunale con la rocca estense. L’assessore ai Lavori pubblici della Provincia, Davide Nardini, rispondendo alla segnalazione di ferraraitalia e alle sollecitazioni di commercianti e turisti, ha annunciato che entro la prossima primavera sarà realizzato un adeguato intervento di manutenzione. “E’ anche allo studio – ha precisato Nardini – la possibilità di illuminare i volti”. Il tutto ovviamente con il benestare della soprintendenza ai beni architettonici.
Frattanto abbiamo riscontrato con soddisfazione che l’impegno recentemente assunto dalla direzione amministrativa di Economia di spegnere le luci durante la notte e i giorni di chiusura della facoltà è già stato attuato.

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Renzi e la leggenda metropolitana del turismo in saldo passivo

di Lanfranco Viola

Gentile direttore,
ho atteso che si allontanasse nel tempo l’esito scontato degli scrutini delle primarie del Pd, prima di scrivere qualcosa che dimostra come i politici spesso parlano di cose che non conoscono, o forse solo per sentito dire (e spesso in modo errato).
Il politico a cui faccio riferimento è nientepopodimenoche Matteo Renzi, il sindaco di Firenze, non uno dei nostri amministratori Signor nessuno, come potrebbero testimoniare le 2.700 persone che erano presenti all’Unipol Arena di Casalecchio lunedì 3 dicembre.
In mezzo al lungo discorso che seguivo in diretta sulla televisione locale “è TV” ad un certo punto, nell’elencare le molte cose che non funzionano in Italia a cui avrebbe messo mano se fosse stato nominato segretario generale del Pd affermò: tante cose sono da cambiare, a cui è necessario mettere mano, tra cui il turismo, che ci porta 10 miliardi di entrate, ma che ha purtroppo 20 miliardi di uscite, per le spese dei nostri connazionali all’estero.
Già sentire pronunciare la parola “turismo” da un politico, mi aveva fatto sobbalzare e anche se queste non sono forse le parole esatte, questo è il senso della frase che è stata pronunciata, e che ho memorizzato per poterne riferire. Il che mi ha lasciato allibito, proprio in quanto pronunciata dal primo cittadino di una città come Firenze che ha oltre 12 milioni di presenze turistiche in un anno e che quindi di turismo ne dovrebbe masticare. Nonostante tutto, spero per questa segnalazione di non essere accusato di “lesa maestà”.
Ovviamente lo ritengo incolpevole proprio in quanto anche in questi anni di crisi, in quella città le presenze turistiche hanno continuato ad aumentare, quasi certamente per merito di altri personaggi illustri del passato (magari Michelangelo e Brunelleschi) e quindi perché occuparsene? Ho voluto segnalare questo micro-episodio a conferma della tesi che nessuno si occupa seriamente dell’industria turistica in quanto non sembrano neppure conoscerene i dati macro-economici, poichè: “dal 1970 il saldo della Bilancia dei pagamenti, tra le entrate portate dai Turisti stranieri (che per la Banca d’Italia sono registrate come Esportazioni) e le uscite dei nostri connazionali all’estero, la Bilancia è sempre stato in attivo”. Quindi si tratta di uno dei pochi settori che ha funzionato e che continua a funzionare.
Ora sono certo che nessuno glielo avrà fatto notare e che anzi corriamo solo il rischio che inizi a girare un’altra favola metropolitana, che finirà per essere di auto-giustificazione in città come Ferrara, che pur auto-dichiarandosi ad ogni piè sospinto “Città d’Arte e di Turismo”, in realtà dal 2008 nel turismo sta andando indietro come i gamberi. Tanto a chi gliene frega qualcosa? Non certo ai consiglieri di opposizione nelle varie amministrazioni (ma esistono? o sono ectoplasi?) Né tanto meno alle innumerevoli associazioni di categoria.
L’ignoranza è una gran brutta cosa.
Cordiali saluti
Arch. Lanfranco Viola

Pci-Ds

Oro del Pci, Calvano: “Sulle fondazioni dibattito tardivo ma utile, ora decidiamo che fare”

Sulla vicenda fondazioni abbiamo sentito il parere il Paolo Calvano, attuale segretario provinciale del Partito democratico di Ferrara, in odore di promozione al regionale. A lui, che ha letto con attenzione tutte le puntate della nostra inchiesta sull’ “oro del Pci”, abbiamo chiesto innanzitutto se la “messa in sicurezza” del patrimonio dei Ds, decisa nel 2007, oggi, a sei anni dalla nascita del Pd, abbia ancora un senso.
“La scelta è stata fatta, al momento della creazione del nuovo soggetto, dai due partiti che l’hanno costituito: i Democratici di sinistra e La margherita. Entrambi hanno deciso di non conferire il loro patrimonio. Io su questo non esprimo giudizi”.
Non ritiene ragionevole che un’unione politica fra gli eredi della tradizione comunista e di quella democristiana suggerisse qualche cautela? Non era proprio scontato che le cose funzionassero…
“Spero che la scelta non sia dipesa da timori circa la capacità del Pd di decollare, perché questo avrebbe significato avere coltivato riserve mentali insidiose. Ma io guardo al presente e dico che ora il Pd ha una sua chiara fisionomia. In questa logica sarebbe sensata la cessione del patrimonio al Partito democratico”.
Il presidente della fondazione L’Approdo, Cusinatti, però ha insistito su un punto previsto dallo statuto: la continuità con i valori propri della sinistra…
“In questo senso, per quanto riguarda la collocazione del Pd, mi pare che i dubbi siano già stati sciolti e la recente volontà di iscrivere i nostri rappresentanti in Europa al gruppo parlamentare socialista sono la conferma della vocazione di una forza che è espressione di una sinistra moderna e riformista”.
Altri, più o meno velatamente, ritengono invece che le fondazioni intendano perpetrare se stesse per operare un potere di condizionamento esterno, agendo alla stregua di lobby.
“E’ l’idea del vecchio che vuole influenzare il nuovo, certo. Ma per quanto ci riguarda devo dire che il rapporto è molto chiaro: la fondazione affitta, a condizioni privilegiate, direttamente ai circoli i locali dei quali è in possesso; inoltre assieme a loro condividiamo alcuni progetti dei quali loro si prestano ad essere partner o sponsor, come è accaduto di recente con la scuola di formazione politica o in altre simili circostanze”.
La fondazione peraltro si regge su uno statuto che prevede cariche a vite e non impone specifici obblighi di informazione, tant’è che sino ad ora i responsabili si sono limitati agli adempimenti di legge, ma di quel che è stato fatto e speso, in precedenza, s’era saputo poco. Le che ne pensa?
“Credo che questi caratteri siano scarsamente compatibili con le nuove forme che la politica sta cercando di assumere e penso che la sussistenza di cariche a vita sia espressione e retaggio di una stagione precedente. Una cosa del genere è paradossale quando, in parallelo, ci si interroga sulla possibilità di svolgere più di due mandati politici”.
E’ quindi una situazione anomala che va affrontata.
“Certo, avendo però chiarezza su cosa si vuole fare. Anch’io mi domando se sia opportuno che il partito gestisca direttamente il proprio patrimonio. Ma questa è una decisione che esula dall’ambito locale”.
E a livello nazionale ne state parlando?
“Renzi è appena arrivato, il nuovo tesoriere si è insediato adesso anche lui. Il tema va affrontato tenendo conto delle modalità di finanziamento dei partiti, profondamente modificate dal governo Letta, e dovrà considerare le capacità di autofinanziamento dei soggetti politici”.
Ma in passato ne avevate discusso?
“A mia personale memoria, nel corso degli ultimi quattro anni no”.
Che idea si è fatto leggendo l’inchiesta di ferraraitalia?
“Ho l’impressione che si sia sviluppato un dibattito che si sarebbe dovuto fare prima, quando quelle decisioni sono state prese. Ma io ora devo guardare avanti e pensare al partito che vogliamo”.

7 – CONTINUA

anziani-povertà

In provincia di Ferrara oltre 80mila persone vivono con meno di 750 euro al mese

Sono 53.694 i ferraresi che percepiscono meno di 499 euro al mese di assegno pensionistico, e poco più di 30 mila hanno una pensione da 500 a 749 euro. Sommando, sono circa i due terzi della popolazione anziana. Con una media tra i 700 e i 750 euro, Ferrara è con Rimini la provincia a più basso reddito pensionistico dell’Emilia-Romagna,: le donne sono le più penalizzate, per numero di trattamenti erogati e per gli importi, più bassi rispetto a quelli degli uomini.
I dati, di fonte Inps, sono stati diffusi negli scorsi giorni dallo Spi, il sindacato pensionati della Cgil, che sta entrando nella campagna congressuale in preparazione del congresso provinciale previsto il 27 e 28 febbraio 2014.
Come si vive con queste pensioni? È chiaro: male. Un dramma soprattutto per chi è solo e non può contare sull’aiuto dei famigliari o di una badante (se non ci fossero le badanti …).
Ferma restando la sacrosanta battaglia per vedersi riconosciuti trattamenti più equi dopo aver lavorato una vita, per pagare meno tasse e per correggere le storture di chi pretende di mandarci in pensione tutti a settant’anni (negando posti di lavoro ai giovani), bisogna cominciare a rispondere a qualche altra domanda.
Ad una su tutte: reggerà, e come, una società che invecchia? E che cosa questa società che cambia sarà capace di offrire agli anziani?
Lo sappiamo, sull’argomento si sono scritte intere biblioteche. Nello scenario centrale delle stime Istat, in Italia l’età media aumenta da 43,5 anni nel 2011 fino ad un massimo di 49,8 anni nel 2059. Dopo tale anno l’età media si stabilizza sul valore di 49,7 anni, ad indicare una presumibile conclusione del processo di invecchiamento della popolazione. Particolarmente accentuato è l’aumento del numero di anziani: gli ultra 65enni, oggi tra il 20 e il 21% del totale, nello scenario centrale aumentano fino al 2043, anno in cui oltrepassano il 32%, per poi consolidarsi su questa percentuale.
Questa è una delle rivoluzioni culturali del futuro. Né più ne’ meno. Si tratta di scegliere: o l’anziano è cosa da buttare – scusate la crudezza – o è un essere umano che ha diritto a vivere fino alla fine un’esistenza dignitosa. Se vale, come si spera, questa seconda ipotesi, allora bisogna davvero rimboccarsi le maniche. Cominciando a vedere come modificare il funzionamento dei servizi, dai trasporti alla sanità, dalle strutture di socializzazione alle iniziative in cui l’anziano possa essere attivo e interagire con il resto della popolazione, in primis con i giovani. Pubblico e privato possono collaborare. Ci sono esempi a bizzeffe.
Si deve avere il coraggio di sperimentare rapidamente nuove soluzioni, senza pretendere di risolvere tutto e subito, ma anche senza smettere per un minuto l’impegno. Anche in provincia di Ferrara, dove più di 80 mila anziani faticano a vivere. Senza contare gli altri.

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Il futuro in tempi di incertezza

Alla decima edizione della Web Conference di Parigi (10-12 dicembre) imprenditori e start up hanno cercato d’indovinare quali saranno le ulteriori trasformazioni di internet. Scott Huffman, dice: “Stiamo lavorando all’idea di una interazione con Google passando dalla tastiera all’uso della voce naturale con cui chiedere, per esempio, come va il tempo a Parigi e ottenere una risposta vocale”. Loic Le Meur aggiunge:“ Adesso c‘è la voce, digitare diventa una cosa superata e i giovani possono anche non imparare a digitare perché adoperano i loro iPads o i tablet. Il futuro è la voce”.
Sono tutti certi sul fatto che le tecnologie sapranno parlarci e che aumenteranno ancora la loro importanza nella nostra vita. James Siminoff afferma: “Ci aspettiamo questo: il telefono portatile sarà sempre più il nostro compagno quotidiano. Credo che l’internet ad alta velocità sarà come l’elettricità e l’acqua corrente nelle case”.
Il capo di Apple, Guy Kawasaki, propone una questione di prospettiva rilevante, affermando: “Vogliamo vedere le cose veramente di rottura e sapere quello che cambierà, come sarà il prossimo Google, il prossimo youtube. La risposta è: non lo so, so che investirò in questo settore”.
Questo il punto che mi interessa sottolineare: non si può aspettare la garanzia del ritorno per investire nel futuro. Si tratta di abbandonare l’idea delle previsioni, una gabbia inutile che spesso giustifica la pigrizia, soprattutto un’illusione infondata, in un mondo complesso come il nostro.
Investire nel futuro significa investire nella ricerca, investire nello studio, avviare nuovi progetti e sperimentare. Certo, è giusto sostenere che il Governo italiano dovrebbe investire una quota del PIL ben superiore al misero attuale 1,25%. Ma ciò non toglie che dovremmo trasmettere ai giovani il gusto per la scommessa. Investire nello studio è responsabilità di ognuno. Questo è l’unico messaggio possibile: non ci sono certezze (se mai ci sono state), viviamo in un tempo durissimo e abbiamo, però, la possibilità di coltivare la nostra intelligenza, con una quantità di stimoli in passato inimmaginabili. Gli esperti di mercato del lavoro argomentano, dati alla mano, che investire nello studio paga ancora, in termini di opportunità e di qualità del lavoro. Ma, a parte questo, studiare, è in sé gratificante e fa bene.