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E’ noto l’anatema di Antonio Gramsci contro gli indifferenti. E’ vivo e presente (in molti, resistenti e resilienti) il senso dell’impegno che fu dei padri fondatori dell’Italia libera e repubblicana e dei milioni di uomini e donne che si impegnarono e si batterono, anche a costo della vita, per consegnare ai figli un Paese che garantisse a tutti un’esistenza degna d’essere vissuta. E allora ci siamo domandati quale sia, oggi, il significato autentico e attualizzato dell’espressione “partigiano”. Ci siamo chiesti quali siano, in questi nostri giorni aspri, i valori da difendere, gli avversari da combattere.

Abbiamo girato l’interrogativo a un nutrito ed eterogeneo gruppo di uomini e donne, chiedendo a ciascuno di riaffermare il senso di concetti quali comunità e cittadinanza. E abbiamo domandato di esplicitare quali battaglie di civiltà e di democrazia meritano di essere combattute nel presente. Ciascuno ha precisato i riferimenti ideali e gli imprescindibili capisaldi scelti come bussola del proprio agire politico; e per contrappunto ha individuato i “nemici” (materiali e immateriali), cioè i fattori che si contrappongono o gli elementi che li insidiano.

[Per leggere gli interventi integrali è sufficiente cliccare sui nomi]

Secondo Fabio Isman, prestigiosa firma del Messaggero per il quale in oltre 40 anni ha scritto di politica, esteri e beni culturali, “I riferimenti ideali sono quelli di sempre: un Paese libero, laico, democratico, civile, basato sulla Costituzione. Anche i nemici di tutto questo sono gli stessi: chi ancora si ostina in ideologie superate, razziste o fasciste; e i negazionisti…”.

Daniele Lugli, storico riferimento del Movimento nonviolento, afferma: “Partigiani oggi, cioè dalla parte della liberazione di cui oggi avverto esservi un forte bisogno. Quanti ai valori, o principi che siano, io sono fermo a quelli della Rivoluzione francese: la libertà, da conquistare e approfondire continuamente in un processo di costante liberazione da vincoli e ignoranza, l’uguaglianza, tra persone impegnate nel medesimo processo di liberazione personale e collettiva, la fraternità , che può stabilirsi tra soggetti liberi ed eguali. Gli avversari? La chiusura, l’intolleranza nei confronti di chi appare diverso”.

Dice Matteo Provasi, giovane docente di Storia moderna all’Università di Ferrara: “La parola ‘partigiano’ è stata progressivamente svuotata di significato. Spesso brandita come arma pseudo ideologica, manipolata per il piccolo cabotaggio politico. Ne è rimasta la mitografia, ma si è perso il senso profondo: resistere a un’idea di società che non condividiamo. Il pericolo oggi è proprio l’assenza di una idea di società: si ragiona per schemi. Io conosco partigiani odierni. La mia amica Manu: una lunga trafila nella ricerca, poi l’imbuto che si stringe, e la voglia di portare tutto il suo sapere nelle scuole medie, senza spocchia, resistendo ogni giorno a paletti didattici, vuote visioni pedagogiche, genitori egocentrici, colleghi ottocenteschi, pretese sindacali; cercando di offrire agli adulti di domani strumenti più affilati per comprendere la realtà…

“Per quel che mi riguarda – afferma Marco Bortolotti, funzionario Enel – a volte mi sento davvero un partigiano, un combattente, perché mi rendo conto che mi trovo su posizioni che la società di oggi ignora, o peggio ancora combatte. Il mio caposaldo è l’integrità morale dell’essere umano. Da questo discendono la lealtà, il rispetto dell’altro e della vita in senso assoluto (sotto ogni forma), l’onestà, la dedizione verso gli altri. Il nemico più grosso da combattere è il messaggio che la società stessa tenta di trasmettere, specie ai giovani: quello del possedere, tutto e subito, senza sacrificio, e del tutto lecito”.

Lucia Marchetti è un’insegnante di sociologia in pensione: “L’aspetto fondamentale e particolarmente minacciato è quello della dignità, individuale e sociale. Penso alle difficoltà sempre maggiori a vivere una vita dignitosa a causa dell’assenza di lavoro, alla crisi del welfare, che obbliga un numero sempre più grande di persone a risolvere in modo solitario e isolato problemi di salute e di sopravvivenza. Poi c’è il tema della laicità che metterei in coppia con quello della libertà, intrecciati al problema della formazione: in una società della conoscenza stiamo progressivamente perdendo la capacità di controllare i processi e di comprendere le cause di fatti e di fenomeni”.

Fra coloro che con fatica difendono la loro dignità c’è Gianluca Iovine, giovane scrittore calabrese: “Non saremo mai un Paese civile e democratico – sostiene – finché lasceremo bruciare le nostre colline e i nostri boschi. Incendi consumano, specie d’estate, la bellezza e biodiversità della natura italiana per lucrare su nuovi pascoli, colture, nuove aree edificabili, nell’interesse della malapolitica e delle lobbies mafiose. C’è fascismo in chi decide di toglierci bellezza e stuprare la natura, e testardaggine partigiana in chi sceglie di resistere, denunciando. Perché un giorno questo Paese abbia un catasto degli incendi e pene esemplari per chi brucia. Sperando che all’orizzonte restino resine d’alberi e non ceneri di bosco”.

Laura Rossi, operatore artistico-culturale, afferma che “essere partigiani oggi, significa combattere per quella meravigliosa utopia per la quale hanno lottato e sono morti uomini e donne senza curarsi di quei finti valori (fama, ricchezza, carriera…), cui la stragrande maggioranza delle persone ora conforma la propria vita, senza più ideali né senso di fratellanza e di Patria. Adesso più che mai bisogna affrontare battaglie e lotte contro la repressione delle libertà, perché la repressione esiste ancora anche se sotto forme diverse: il precariato del lavoro, la disuguaglianza sociale…”

E’ preciso nella sua analisi Enrico Pucci, giornalista ferrarese caporedattore al Mattino di Padova: “Difendiamo oggi la pace dal fondamentalismo religioso e dai riaffioranti nazionalismi; la nostra Costituzione del ’48 dalle tentazioni autocratiche; il lavoro dalla “disruptive innovation”, cioè dalla rivoluzione digitale (che distrugge posti senza crearne di nuovi) e dal precariato; la politica dalla telecrazia; la giustizia dalla prescrizione breve”.

Per Marzia Marchi, figura di rilievo del mondo ambientalista, “tra i valori ne esiste solo uno, supremo: la pace, che significa spendersi nella solidarietà e abbandonare il pregiudizio che ci fa considerare popolazioni vittime di violenze come complici dei poteri che le annientano. Avversari da combattere? Oggi e come sempre la ricchezza che si concentra nelle mani di pochi, che si traduca in un califfato, in un sultanato o in una democrazia del denaro”.

In un certo senso riassuntivo è il punto di vista di Davide Nani, insegnante: “Quali sono i valori per i quali vale la pena di combattere? Non occorre una gran ricerca sui libri o interiore per declinarli. Sono contenuti nella nostra Costituzione. Democrazia, Libertà, Uguaglianza, Giustizia. La piena realizzazione di uno solo di questi concetti, dovrebbe sottendere e comprendere anche gli altri. Per questo bisogna resistere con sistematico senso critico a un’informazione malata, a una politica televisiva da avanspettacolo, alla tentazione del disimpegno, della frammentazione individualistica e snob”.

E’ uno spaccato significativo, la conferma che un’altra Italia è possibile. Questi sono i pareri che ci sono stati consegnati. I primi. Altri ne attendiamo. Resistenza continua.

1. CONTINUA

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Cari lettori,

dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .

Tanto che qualcuno si è chiesto se  i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.

Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle élite, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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