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Giorno: 16 Gennaio 2021

Coronavirus. L’aggiornamento in Emilia-Romagna: 16 gennaio

Coronavirus. L’aggiornamento in Emilia-Romagna: su quasi 21mila tamponi effettuati, 1.674 nuovi positivi, di cui 746 asintomatici da screening regionali e attività di contact tracing. 1.856 guariti, diminuiscono casi attivi e i ricoveri. Vaccini: alle 16 oltre 113mila somministrazioni totali

Da ieri, a livello nazionale il dato dei tamponi fatti comprende la somma dei molecolari (15.172) e di quelli antigenici rapidi (5.640). Eseguiti anche 603 test sierologici. Il 95% dei casi attivi è in isolamento a casa, senza sintomi o con sintomi lievi. L’età media nei nuovi positivi è di 47 anni. 48 i decessi. Aggiornamento on line in tempo reale della campagna vaccinale

Bologna – Dall’inizio dell’epidemia da Coronavirus, in Emilia-Romagna si sono registrati 200.552 casi di positività, 1.674 in più rispetto a ieri, su un totale di 20.812 tamponi (15.172 molecolari e 5.640 antigenici rapidi) eseguiti nelle ultime 24 ore. La percentuale dei nuovi positivi sul numero di tamponi fatti da ieri è dell’8%. Da ieri, infatti, a livello nazionale viene preso in considerazione il numero complessivo di tamponi fatti, molecolari e rapidi, anche base di raffronto dei nuovi positivi. Lo stesso avviene nelle regioni.

Continua intanto la campagna vaccinale anti-Covid, in questa prima fase riguardante il personale della sanità e delle Cra, compresi i degenti delle residenze per anziani: il conteggio progressivo delle somministrazioni effettuate si può seguire in tempo reale on line, sul nuovo portale della Regione Emilia-Romagna dedicato all’argomento: https://salute.regione.emilia-romagna.it/vaccino-anti-covid.

Alle 16 sono state vaccinate 113.064 persone3.785 le somministrazioni oggi a quell’ora, tenendo presente che le Aziende sanitarie proseguono per l’intera giornata.

Prosegue l’attività di controllo e prevenzione: dei nuovi contagiati, 746 sono asintomatici individuati nell’ambito delle attività di contact tracing e screening regionali. Complessivamente, tra i nuovi positivi 471 erano già in isolamento al momento dell’esecuzione del tampone, 729 sono stati individuati all’interno di focolai già noti.

L’età media dei nuovi positivi di oggi è 47 anni.

Sui 746 asintomatici458 sono stati individuati grazie all’attività di contact tracing76 attraverso i test per le categorie a rischio introdotti dalla Regione, 19 con gli screening sierologici4 tramite i test pre-ricovero. Per 189 casi è ancora in corso l’indagine epidemiologica.

La situazione dei contagi nelle province vede Bologna con 368 nuovi casi, poi Modena (296), Rimini (178) Ferrara (155) e Reggio Emilia (155). Seguono Piacenza (119), Cesena (100); quindi Ravenna (92), Forlì (87), Parma (66) e il Circondario Imolese (58).
Questi i dati – accertati alle ore 12 di oggi sulla base delle richieste istituzionali – relativi all’andamento dell’epidemia in regione.

Nelle ultime 24 ore sono stati effettuati 15.172 tamponi, per un totale di 2.783.275. A questi si aggiungono anche 603 test sierologici e 5.640 tamponi rapidi effettuati da ieri.

Per quanto riguarda le persone complessivamente guaritesono 1.856 in più rispetto a ieri e raggiungono quota 136.567.

casi attivi, cioè i malati effettivi, a oggi sono 55.280 (-230 rispetto a ieri). Di questi, le persone in isolamento a casa, ovvero quelle con sintomi lievi che non richiedono cure ospedaliere o risultano prive di sintomi, sono complessivamente 52.541 (-227), il 95% del totale dei casi attivi.

Purtroppo, si registrano 48 nuovi decessi: 6 a Piacenza (due donne di 86 e 84 anni e 4 uomini, rispettivamente di 71, 82, 78, 84 anni), 4 in provincia di Parma (2 donne, di 85 e 91 anni, e 2 uomini di 96 e 93 anni), 5 in provincia di Reggio Emilia (due donne di 73 e 84 anni, un 88enne – deceduto però a Modena – e altri 2 uomini di 84 e 90 anni); 6 nel modenese (4 donne – rispettivamente di 76, 85, 87 e 98 anni – e 2 uomini, rispettivamente di 87 e 96 anni); 10 in provincia di Bologna (5 donne – rispettivamente di 81, 83, 89, 97 anni e una donna di 94 anni nell’imolese – e 5 uomini: rispettivamente di 81, 78, due di 91 anni e un uomo di 84 anni nell’imolese); 9 in provincia di Ravenna (2 donne – rispettivamente di 84 e 88 anni – e 7 uomini, di cui uno di 78 anni, due di 83 anni, due di 85, uno di 86 e uno di 90 anni); 8 a Forlì-Cesena (5 donne, di 82, 85, 86, 88 e 97 anni, e due uomini di 76 e 93 anni). Non si registrano decessi nelle province di Ferrara e Rimini

In totale, dall’inizio dell’epidemia i decessi in regione sono stati 8.705.

I pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 231 (invariati rispetto a ieri), 2.508 quelli negli altri reparti Covid (-3).

Sul territorio, i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono così distribuiti: 17 a Piacenza (+1 rispetto a ieri), 13 a Parma (-1), 18 a Reggio Emilia (+1), 45 a Modena (+2), 46 a Bologna (+2), 12 a Imola (-1), 28 Ferrara (invariato), 17 a Ravenna (-2), 3 a Forlì (-1), 6 a Cesena (invariato) e 26 a Rimini (-1).

Questi i casi di positività sul territorio dall’inizio dell’epidemia, che si riferiscono non alla provincia di residenza, ma a quella in cui è stata fatta la diagnosi: 17.360 a Piacenza (+119 rispetto a ieri, di cui 56 sintomatici), 14.328 a Parma (+66, di cui 45 sintomatici), 26.902  a Reggio Emilia (+155, di cui 61 sintomatici), 35.754 Modena (+296, di cui 199 sintomatici), 39.823 a Bologna (+368, di cui 238 sintomatici), 6.350 casi a Imola (+58, di cui 21 sintomatici), 11.254 Ferrara (+155, di cui 45 sintomatici), 15.271Ravenna (+92, di cui 49 sintomatici), 7.149 a Forlì (+87, di cui 71 sintomatici), 8.183 a Cesena (+100, di cui 60 sintomatici) e 18.178 a Rimini (+178, di cui 83 sintomatici).

Cosa c’è (e cosa manca)
nel “pacco regalo” del recovery plan

Dentro una delle crisi di governo più “incomprensibili” da molti anni in qua, però il Recovery plan, il progetto nazionale per arrivare ad avere le risorse europee di Next Generation UE, dopo l’approvazione nel Consiglio dei Ministri del 12 gennaio, appare in dirittura d’arrivo. Vale allora la pena spendere alcune parole per capire meglio quali sono gli obiettivi lì contenuti e l’orizzonte lungo il quale si muove. Lo si deve fare al di fuori della retorica sulla “svolta” europea, sul suo valore di appuntamento con la Storia, sulle ingenti risorse a disposizione e via dicendo, ma guardando bene contenuti e profilo lì presenti.

La prima considerazione che si può avanzare riguarda l’utilizzo dei 209 mld di € ( 65,4 mld. di sussidi a fondo perduto e 127,6 mld. di prestiti dal Recovery Fund europeo), lievitati nell’ultima versione a 222 mld con l’incorporazione di ulteriori risorse europee. Nell’ultima versione nota, essi sono distribuiti su 6 missioni fondamentali: Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (46,1 miliardi); Rivoluzione verde e transizione ecologica (68,9 miliardi); Infrastrutture per una mobilità sostenibile (32 miliardi); Istruzione e ricerca (28,5 miliardi); Inclusione e coesione (27,6 miliardi); Salute (19,7 miliardi). Si potrebbe disquisire a lungo se non si poteva trovare un equilibrio più utile tra queste voci, spingere maggiormente in direzione degli investimenti piuttosto che degli incentivi, destinare maggiori risorse ai nuovi progetti rispetto a quelli già esistenti, superare una decisa frammentazione degli interventi previsti nelle singoli missioni.Non c’è dubbio, però, che alcune siano decisamente sottovalutate. Solo per esemplificare, basta pensare a quanto destinato alla salute, che non ripaga neanche l’insieme dei tagli prodotti negli ultimi 10-15 anni. Ragionamento analogo vale per la scuola e l’istruzione.

Al di là di questo, però, ciò che emerge con ancora più forza e, purtroppo, inadeguatezza, sono le finalità cui vengono indirizzate le risorse dei vari capitoli.  Anche qui, senza poter entrare in una disamina più approfondita, non si sfugge alla constatazione che non si affrontano le questioni di fondo che i vari temi propongono, continuando a seguire un pensiero debole e subalterno alle narrazioni mainstream.
Se guardiamo al tema della digitalizzazione, ormai assunto come un mantra in qualunque discussione che dovrebbe portarci nel futuro, non si va al di là delle politiche già avviate in questi anni, con un loro potenziamento, o di buoni, quanto scontati, propositi: incentivi a Industria 4.0, che notoriamente non sono in grado di guidare una reale ricollocazione dell’apparato industriale, e innovazione nella Pubblica Amministrazione.
Su quest’ultima questione, non si può evitare di notare che degli 11,45 mld, ad essa dedicati, ben 4,75 se ne vanno per il progetto Cashless, meglio noto coma Cashback, ossia per l’ incentivo all’utilizzo di mezzi di pagamento elettronici sia per i consumatori sia per gli esercenti. Insomma, si evita di misurarsi con le novità emerse in questi anni, e cioè il dominio delle grandi aziende multinazionali hi-tech made in USA – in primis le famose FAANG, Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google– che hanno dato vita ad un modello costruito sul fatto di produrre profitti mediante le inserzioni pubblicitarie e la pratica strutturale dell’elusione fiscale, utilizzare i dati degli utenti come nuova materia prima e ridurre l’esperienza umana a merce da collocare sui mercati. Fino alla conseguenza di aver privatizzato l’informazione, la comunicazione e la loro produzione, come emerso in questi giorni con la vicenda dell’esclusione di Trump da Facebook e Twitter. Decisione condivisibile, ma, come evidenziato da molti commentatori, che evidenzia il grande potere di soggetti privati nel disporre chi può intervenire o meno in quello che è diventato spazio e discussione pubblica. Questa è diventata la vera questione: ricondurre a bene comune e servizio pubblico informazione, comunicazione e conoscenza e impedire la loro appropriazione privata, su cui la stessa Unione Europea fatica a misurarsi e il Recovery Plan dimostra grande cecità.
Allo stesso modo, si possono avanzare obiezioni forti in tema di quanto previsto sulla cosiddetta “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, che non assume fino in fondo l’obiettivo europeo della riduzione del 55% al 2030 delle emissioni da gas climalteranti e tantomeno quella di una fuoriuscita in tempi rapidi dall’utilizzo delle risorse fossili. Per non parlare, per usare un eufemismo, del rischio di supportare interventi di vero e proprio “green-washing”, in gran parte ispirati da ENEL e ENI.
A questo proposito, sembra sia rientrata l’intenzione di erogare risorse per il progetto sbagliato di realizzare a Ravenna il più grande impianto di cattura e stoccaggio della CO2 nel sottosuolo, che comunque rimane obiettivo dell’ azienda energetica nostrana, ma viene confermata l’idea di ricorrere ad un uso massiccio del gas per la riconversione delle centrali a carbone.
Ancora in questa missione, si può leggere quanto emerge sulla tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica, dove sono individuate risorse aggiuntive assai scarse e, soprattutto, viene incentivata una nuova spinta per la privatizzazione del servizio idrico, con l’obiettivo di consegnare alle grandi multiutilities quotate in Borsa – Iren, Hera, A2A, Acea– gli affidamenti anche nel Mezzogiorno, dopo che esse sono saldamento insediate in tutto il Centro Nord.
Sulla salute, non si assume con chiarezza  la centralità del ruolo della sanità pubblica, dopo la stagione della privatizzazione strisciante cui abbiamo assistito anche in questo settore, mentre per scuola e istruzione ciò che emerge è che una parte consistente delle risorse stanziate ( 11,7 mld. sul totale di 28,5 mld.) va sotto l’intervento “Dalla ricerca all’impresa”, ribadendo che scuola e istruzione sono subordinate alle esigenze del mercato e del sistema delle imprese.

Quello che, alla fine, emerge dal Recovery Plan, insomma, è un’idea di “ammodernamento” del Paese, fondato sui nuovi “driver” della digitalizzazione e della green economy, senza però mettere in discussione il paradigma della crescita trainata dal mercato e dalla finanza, anzi provando a dargli basi rinnovate e costruendo su queste una lettura ideologica della prossima fase di uscita dalla crisi e del nuovo sviluppo. Un tentativo che va visto anche nei suoi tratti di “novità”, non indulgendo ad un approccio per cui esso sarebbe una pura riproposizione del passato, ma, nello stesso tempo, senza occultare che non basterà la propaganda delle ingenti risorse a disposizioni per mettere tra parentesi che è destinato a non funzionare a quei fini.
Probabilmente ne sono consapevoli anche gli attori più avvertiti delle classi “dirigenti”, a partire dagli estensori del Recovery Plan, nel momento in cui indicano che nel 2023 il PIL crescerà tra il 2,5% e il 3% e il tasso di disoccupazione attestarsi dall’attuale 9,5% all’8,7% nel 2023.
Non grandi dati, in realtà, senza dimenticare che, dopo il forte ricorso all’indebitamento pubblico conseguente alla pandemia, il rapporto debito/PIL passerà, secondo la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, dal 134,6% del 2019 al 158% del 2020, per “rientrare” ad un livello del 143,7% nel 2026. Con tutte le incognite che ciò comporterà in una situazione nella quale si riaprirà, probabilmente nel 2022, la discussione sui vincoli di bilancio in sede europea, dopo la loro sospensione decisa nel corso del 2020. Nonché il rischio, tutt’altro che remoto, che la crisi economica e sociale possa conoscere un ulteriore aggravamento nei prossimi mesise non verrà attivata la proroga del blocco dei licenziamenti, misura osteggiata sempre dagli apologeti del mercato, che non sanno e non vogliono prendere atto che è finita da un pezzo – in realtà mai esistita – la stagione della sua capacità di autoregolazione e, ancor più, di generare ricchezza sociale e sviluppo di qualità.
E’ invece proprio da questa consapevolezza che bisognerebbe ripartire, per riscrivere da capo il Recovery Plan, per prospettare viceversa un reale Piano per il lavoro e i beni comuni, assumendoli come misura e obiettivo di una nuova traiettoria per il Paese

“Il Governo ha dimenticato i giovani”

Da: Ufficio Stampa Lega Giovani Ferrara

“IL GOVERNO HA DIMENTICATO I GIOVANI”
Ferrara, 16 gen – «L’incapacità del governo Conte ha generato un clima di confusione perenne e di rammarico tra i cittadini. Ci hanno illuso con promesse mai mantenute: hanno imposto grandi sacrifici, fino alla chiusura totale, ma la situazione non è migliorata. Anzi. Dal punto di vista economico il governo, troppo impegnato a discutere di rimpasti e poltrone, ha scelto di ipotecare il futuro delle giovani generazioni, aumentando il debito pubblico di 139 miliardi. Miliardi che vengono annunciati sui giornali ma che poi tardano ad arrivare nelle tasche dei cittadini. E oltretutto nel piano sul Recovery Fund alle politiche giovanili sono state destinate solo le briciole. Conte non ha mai parlato di Università e non ha destinato fondi aggiuntivi: se lo avesse fatto le rette sarebbero potute calare, ma invece sono rimaste uguali, e a calare sono stati solo i servizi. La DAD si è dimostrata un fallimento, alle superiori i ragazzi apprendono meno e alle università il numero delle iscrizioni è calato notevolmente e sono sempre più gli studenti che rinunciano agli studi. E ora, durante un momento critico per il Paese, la loro totale mancanza di responsabilità li ha portati ad aprire una crisi di governo. Lanciamo un appello con la speranza di far sentire la nostra voce a chi di dovere, affinché si redima e si ricordi anche di noi giovani, che siamo il futuro della società». Lo dicono i coordinatori provinciali dei movimenti giovanili di Lega e Forza Italia, Luca Cardi e Ilenia Siclari.

Dal 19 al 21 gennaio torna Unife Orienta 2021 in edizione digitale

Da: Ufficio Stampa Unife

Dal 19 al 21 gennaio Unife Orienta 2021

Già 3.400 studentesse e studenti delle superiori si sono iscritte/i alle giornate di orientamento online di Unife

L’Università di Ferrara si presenta alle studentesse e agli studenti delle Scuole superiori con l’ormai tradizionale appuntamento con le giornate di orientamento alla scelta dei corsi di studio in programma dal 19 al 21 gennaio 2021.

Torna anche quest’anno Unife Orienta in edizione digitale, l’appuntamento più atteso dalle future matricole interessate a conoscere i corsi di laurea e i servizi di Unife. Sono circa 3.400 le ragazze e i ragazzi che hanno già inviato la richiesta di partecipazione, con il tutto esaurito per diverse presentazioni.

Nella tre giorni docenti, tutor e personale dell’Ateneo forniranno alle studentesse e agli studenti di quarta e quinta superiore tutti gli strumenti utili per una scelta consapevole del proprio percorso universitario.

Iscrivendosi a Unife Orienta, sarà possibile conoscere in anteprima i corsi di studio offerti per l’anno accademico 2021/22, seguire le presentazioni e interagire con docenti e tutor per avere chiarimenti su modalità di accesso ai corsi, struttura didattica, sbocchi professionali, agevolazioni previste dal diritto allo studio, servizi a disposizione degli studenti e tanto altro ancora.

Studentesse e studenti delle Scuole superiori potranno valutare i proprio interessi accademici e valorizzare le proprie attitudini professionali attraverso il servizio di Counseling. Sarà inoltre possibile simulare le prove di ammissione per i corsi ad accesso programmato.

Per ulteriori informazioni e per le modalità di iscrizione consultare la pagina web dedicata nel sito www.unife.it

Bondeno, Piacentini: “Al sociale il comune non ha tolto nulla..”

Da: Simone Saletti, Sindaco di Bondeno

«AL SOCIALE IL COMUNE NON HA TOLTO NULLA. “VITA INDIPENDENTE” NON SI FA PIÙ A CAUSA DEI TAGLI DELLA REGIONE»

L’assessore ai Servizi Sociali del Comune di Bondeno, Francesca Piacentini, replica alle accuse provenienti dal consigliere Marcello Parmeggiani di Bondeno in Testa: «Nessun taglio al sociale. I servizi hanno mantenuto gli stessi costi pre-Covid, ma si sono adeguati alle normative nazionali. “Vita Indipendente” è ferma perché la Regione ha tagliato il “Fondo per le non autosufficienze”. Encomiabili le attività del nostro settore sociale nell’epoca della pandemia»

«Credevo di essere già stata abbastanza chiara, ma forse i colleghi del Partito Democratico non si sono resi conto che da un anno a questa parte siamo nel bel mezzo di una pandemia mondiale». Replica duramente l’assessore ai Servizi Sociali del Comune di Bondeno, Francesca Piacentini, alle nuove polemiche sollevate dai consiglieri Pd sui presunti tagli che l’Ente avrebbe apportato al sociale. «Punto primo, fughiamo ogni dubbio: non c’è stato nessun taglio di cento mila euro al sociale da parte del Comune, semmai dalla Regione a guida Pd sono arrivati 90mila euro in meno. Punto secondo – continua l’assessore -: non è vero che sono aumentati i costi e diminuiti i servizi. La pandemia ha imposto l’adozione di misure precauzionali senza precedenti, le quali hanno comportato una diluizione dell’erogazione dei servizi, che però hanno mantenuto gli stessi identici costi del periodo pre-Covid». Piacentini è ben decisa a confutare ogni accusa, «anche considerando il fatto che questo genere di polemiche non fanno altro che aumentare la confusione in chi legge, che invece vorrebbe soltanto precisione nelle informazioni da parte di tutti i soggetti». Entrando poi nello specifico del progetto Vita Indipendente, oggetto della iniziale polemica del Pd, l’assessore spiega: «Da solo, il Comune non può reggere i costi di un progetto così strutturato. Senza il sostegno della Regione, che ha fatto mancare 90 mila euro, è impossibile mantenere quel tipo di servizio. Questa riduzione dei fondi provenienti dall’Emilia-Romagna – chiosa la Piacentini – è la diretta conseguenza del loro taglio al “Fondo per le non autosufficienze”». Ma c’è dell’altro: «Quando, un anno fa, siamo venuti a conoscenza di questi ingenti tagli regionali al sociale, da subito il Comune si era adoperato per trovare soluzioni alternative. Come sappiamo, poco dopo è scoppiata la pandemia, e ogni servizio ha dovuto subire degli importanti aggiornamenti per restare conforme alle misure restrittive previste dai decreti nazionali». La conclusione dell’assessore è rivolta al suo settore di competenza: «Colgo l’occasione per ringraziare, ancora una volta, lo straordinario servizio offerto dalle attività del nostro territorio, che non si sono mai fatte trovare impreparate. Adesso – guarda al futuro Piacentini – abbiamo un grande progetto in dirittura d’arrivo: gli “Appartamenti palestra” di Casa Bottazzi, i quali sono nella fase di ultimazione. Questo nuovo servizio e i lavori del Centro Airone, e dei suoi laboratori Cerevisia e Free Time, costituiscono dei pilastri irremovibili per il nostro territorio».

USB Scuola-Ferrara:
“Caro Bonaccini, la facciamo finita con il gioco delle tre carte?”

Da: Antonio Ferrucci, Unione Sindacale di Base scuola Ferrara

Caro Bonaccini, la facciamo finita con il gioco delle tre carte?
L’Italia è un paese in cui i politici, e non solo, possono fare dichiarazioni pubbliche di senso opposto un giorno sì e uno no senza rischiare una diagnosi di schizofrenia. Basta guardare a quello che succede con la scuola: Azzolina prima impone la didattica a distanza (Dad) decantandone le lodi, la finanzia lautamente e poi ne dichiara il fallimento; Bonaccini sostiene di aver operato in modo che la regione da lui governata fosse pronta a far ripartire le lezioni delle scuole secondarie di secondo grado in presenza al 100% per poi il giorno dopo emettere un’ordinanza che sospendeva tutto al 100%.

Intanto, tra una dichiarazione e l’altra, la realtà resta lì. A settembre le scuole hanno riaperto i battenti nelle stesse identiche condizioni in cui si trovavano prima della pandemia: organico docente e ATA invariato e quindi aule sovraffollate, mezzi pubblici insufficienti, nessun investimento serio e strutturale nell’edilizia scolastica salvo l’impresa milionaria dei locali della Fiera di Bologna nei quali far lezione era pressoché impossibile. I banchi monoposto e il “metro statico tra le rime buccali” (leggasi 50 cm tra gomito e gomito) gli unici accorgimenti pensati da lorsignori e che avrebbero dovuto garantire a studenti e personale scolastico di evitare il contagio. Per non parlare della scarsa qualità delle mascherine chirurgiche prodotte da FCA e Luxottica, perché le FFP2 si sono viste col binocolo in qualche scuola e solo per una parte del personale docente.
Ovviamente in autunno gli eventi sono precipitati in ogni regione del Paese anche perché il protocollo sanitario della AUSL, a fronte di uno studente positivo, fermava le lezioni in presenza degli studenti mentre i docenti continuavano a recarsi a scuola. E così, appena il virus ha ripreso a diffondersi, mentre il Ministero dell’Istruzione continuava a diramare messaggi rassicuranti – “La scuola è il posto più sicuro!”, diceva la ministra – il sistema di tracciamento non ha retto l’elevato numero dei contagi ed è saltato dentro e fuori dalle scuole.

Oggi, infine, dopo due mesi di didattica a distanza quasi totale, arriva la notizia che il Tar ha sospeso l’ordinanza che imponeva la didattica a distanza fino al 25 gennaio pertanto da lunedì prossimo 18 gennaio gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado dovrebbero tornare in classi alternate in funzione delle percentuali al 50%. Bonaccini probabilmente spera che a breve l’Emilia Romagna venga dichiarata zona rossa, e in questo modo lo scaricabarile delle responsabilità politiche continuerebbe inarrestabile, come lo squallido teatrino che oscilla tra la retorica difesa di un diritto allo studio, che non viene garantito a nessuno da quasi un anno, e la infamante campagna dissacratoria verso il corpo docente che, nel frattempo, regge da mesi una condizione di didattica in presenza stoica nelle scuole primarie, dell’infanzia e della secondaria di primo grado e didattica a distanza non meno faticosa e alienante, e costosa da ogni punto di vista (il docente paga da sé la propria connessione e spesso è precario, dato il blocco dei concorsi, non usufruisce di carta docenti e in caso di supplenze brevi o Covid non percepisce lo stipendio ogni mese.)

Ci chiediamo quando i governatori regionali e il governo di questo Paese si prenderanno le proprie responsabilità a fronte di un quadro che ogni giorno di più diventa allarmante per i contagi e per la salute di tutti, fisica e psicologica. Che fine ha fatto e cosa ha predisposto il “Tavolo regionale operativo per l’organizzazione dell’avvio dell’anno scolastico 2020/21” dell’Emilia Romagna in cui siede la vicepresidente e assessore al welfare della nostra regione Elly Schlein? Perché forse è ora di fare un bilancio con l’operato di questo Tavolo regionale e smetterla di prendersela con i sindaci, i dirigenti scolastici, il personale della scuola, gli studenti e i giovani in genere.

Per noi, la scuola può essere solo in presenza e in sicurezza, e perché ciò accada occorrono: aumento dei trasporti pubblici, sistema di tracciamento efficiente, sistema di tamponi di massa, screening, aumento degli organici e adeguamento degli spazi per permettere classi con un numero inferiore di alunni, stabilizzazione di tutto il personale docente e ATA su tutto l’organico di fatto.

PRESTO DI MATTINA / Antonio e Beatrice:
monachesimo e spiritualità al servizio del popolo

«Dall’Egitto ho chiamato mio figlio»: questo testo del profeta Osea dice la cura di Dio per il suo popolo; di come egli continui ad amarlo senza pentimenti, anche se non ricambiato; anzi accrescendo sempre più questo amore: «Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Os 11,1-5).

Si riaggancia a questo passo l’evangelista Matteo che, rivolgendosi soprattutto ai cristiani approdati dall’ebraismo, ricorre spesso a ‘citazioni di compimento’, tramite le quali egli mostra ai suoi come le promesse di Dio si siano realizzate nella storia in Gesù. Così troviamo frequenti espressioni come “Questo avvenne perché si compisse”, quest’altro “accadde come era stato detto dal profeta”. Anche l’episodio della fuga in Egitto e del successivo ritorno alla morte di Erode è riportato con questa intenzione. Anche in questa vicenda si deve leggere infatti il compiersi in Gesù della storia del suo popolo, «perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: dall’Egitto ho chiamato mio figlio» (Mt 2,11).

L’evangelista Matteo vuole rendere consapevoli le sue comunità di giudeo-cristiani, che vivono nella diaspora della Siria, che proprio quel Gesù in cui credono è la Parola, che porta a compimento tutte le parole e le profezie di Dio rivolte a Israele. Nella pienezza del tempo, Dio fa conoscere in Gesù la sua parola definitiva, in risposta al grido del profeta Isaia: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi davanti a te sussulterebbero i monti» (Is 63,19). Gesù è parola fattasi carne di amore, non solo per il suo popolo eletto, ma attraverso Israele, donata a tutti i popoli e a tutte le generazioni della terra. Tutte le parole di Dio, quelle proferite nei tempi antichi, divengono nelle stesse parole di Gesù a pienezza. Il Padre, manifestandosi, in voce, nel battesimo del Figlio dice anche a noi: “Ascoltatelo”. Le sue promesse, come sementi nella terra d’Israele, divengono nel Figlio come chicchi pieni nella spiga da sparpagliare nel mondo attraverso l’annuncio del vangelo.

Ma siamo proprio sicuri allora che l’andata in Egitto, di cui da poco abbiamo fatto memoria nella liturgia, sia stata solo una fuga? Segretamente, nascostamente, non è stato per Gesù un andare là dove tutto era cominciato, dentro il cuore stesso di un popolo minacciato di sterminio, per condividerne le sorti? Al principio di una storia di liberazione, di riscatto dalla schiavitù e di promettente alleanza?

La sua fu certamente anche la fuga da una strage. Così come Mosè fu salvato dalle acque per sottrarsi alle ire del Faraone, anche Gesù fu custodito da Giuseppe dalla furia omicida del re Erode, ma poi ritornò come Mosè inviato da quel Dio il cui nome è “colui che mette in cammino”. Per questo, il Messia inizia la sua vita terrena scendendo in Egitto, nel luogo simbolo del dolore innocente, alla radice di ogni strage, di ogni sterminio perpetrato dal potere quando si sente minacciato e fa di se stesso un Moloch cui tutto sacrificare.

«Dall’Egitto ho chiamato mio figlio» perché ripercorresse l’esodo, sperimentasse l’esilio del suo popolo, e, peregrinante, affidato al Padre, compiendo la sua parola, giungesse, con un nuovo esodo, alla sua Pasqua, compimento di quella antica e anticipazione di quella futura che è la terra promessa da Dio per tutti i suoi figli e figlie. L’approdo dove ‒ come profetizza Isaia ‒ «sarà strappato il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti; sarà eliminata la morte per sempre e – come padre e madre – asciugherà le lacrime sul volto dei suoi figli» (25,7-8).

Dall’Egitto ho chiamato pure i miei figli e le mie figlie, si potrebbe anche dire. Ricordiamone alcuni: Antonio l’egiziano e Maria Egiziaca; ma poi anche Benedetto da Norcia e Beatrice II d’Este. In loro ci è dato percorrere le antiche vie del monachesimo orientale e occidentale, fin nelle nostre terre; l’ininterrotta migrazione degli uomini e delle donne delle beatitudini, il continuo esodo della mistica e della spiritualità cristiane, in compagnia di tanti altri viatores e velatores in itinere, a piedi o su barconi, verso la terra che Dio ha voluto donare loro. Questa peregrinazione della fede come speranza e come amore è un continuo passa parola, anche nella vita nascosta degli eremi e dei monasteri; un salmeggiare e celebrare, come in una universale liturgia cosmica che continua nella vita attraverso la carità fraterna dell’ascolto e della condivisone dei beni. Nell’esperienza monastica si custodisce e si rende al vivo quella coscienza della chiesa che sa di non dover vivere per se stessa, ma per il mondo cui è inviata, ricalcando le orme del suo Signore e Maestro che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la sua vita.

Non diversamente dalla discesa in Egitto di Gesù non va paragonata la vita monastica a una fuga (dal mondo), un volontario esilio lontano dagli intrighi degli uomini e dai conflitti della storia. Non c’ingannino dunque le massime aforistiche del monachesimo egiziano (“fuge, tace, quisce”: fuggi, taci e rappacificati”) e di quello occidentale ora et labora. In realtà tutti gli uomini e le donne dell’esperienza monastica sono situati sulla frontiera, in cui si fa argine all’esondazione del male. Li troviamo intenti a quel passante di valico che è il mistero pasquale di Cristo, “passatori oranti” alla sequela del passeur blessé che è il crocifisso Risorto presso quel varco aperto nella morte, in ascolto del dolore del mondo, solidali nella oscura notte del Figlio, che continua in quella dei suoi fratelli, pronti a riporre, ancora una volta come lui, nelle mani del Padre il destino di tutti noi. Il monachesimo, come un tempo nel deserto egiziano della Tebaide, resta anche oggi per le donne e gli uomini che vi si incamminano una lotta e un martirio vissuti a nome di tutti. Per loro, come dice Paolo, «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti sono uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Essi sono persuasi infatti che «né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù» (Rm 8, 38-39). La loro vocazione nella chiesa e nel mondo è quella di condurre all’unità la famiglia umana, con una vita orante ispirata dalla preghiera stessa di Gesù, che chiede al Padre il dono dell’unità (Gv 17,21).

Domani 17 gennaio nel monastero delle sorelle Benedettine si ricorda proprio Antonio Abate titolare del loro monastero; e il giorno dopo, lunedì 18, esse ricorderanno la loro fondatrice la Beata Beatrice II d’Este (Ferrara, 1230 – 18 gennaio 1262). Come si è attuata questa presenza cristiana di Beatrice II per la nostra città? E che cosa dice a noi ancora oggi? Non ho trovato di meglio che rigiocare i tratti della sua spiritualità di mediazione con le indimenticate parole di mons. Antonio Samaritani, che di storia monastica è stato umilissimo e luminosissimo indagatore e scopritore.

«Allora non si davano sante se non canonichesse regolari, di spiritualità agostiniana, o di spiritualità monastica, qui, in zona nostra, benedettina. La beata Beatrice II d’Este è innovatrice e originale: innanzitutto non parte da un normale convento; parte da S. Stefano della Rotta di Focomorto, quindi da un eremitorio; parte da esperienza non monastica, non benedettina, ma mendicante, francescana. Quella della beata Beatrice II d’Este è una tipica spiritualità di mediazione. La vocazione ferrarese forse non è tutta contemplativa, né tutta operativa. La beata Beatrice II d’Este consacra sì la legittimità illegittima, se così vogliamo dire, della sua casata in Ferrara, ma la legittima con connotazioni allettanti per la nuova spiritualità della prima borghesia emergente, supportata appunto dai “fratres minores”, dai domenicani e da tutti gli ordini mendicanti di Ferrara. Si pensa che a Ferrara ci fossero pure delle forme minoritiche avanti la venuta dei francescani, come si possono individuare a Treviso e Vicenza. E’ bello pensare che, in sintonia col messaggio della minorità di S. Francesco, non solo c’è stata una ricezione fra le prime del movimento francescano femminile, le “Sorores Minores”, ma c’è stata direi una precursione, un anticipo tipico della spiritualità padana.  La beata Beatrice d’Este non è la santa contemplativa del Basso Medioevo, la santa medievale dei conventi benedettini; gli Estensi non hanno bisogno di una santa né eccessivamente miracolistica, né eccessivamente contemplativa. Le ossa di Beatrice d’Este sono diventate un centro anche di miracolosità nei secoli, ma molto posteriormente. La spiritualità ferrarese della beata Beatrice d’Este, santa sostanzialmente di ceppo veneto, del basso Veneto, è una spiritualità vicina al popolo: non miracoli, non contemplazioni eccelse, ma testimonianza di povertà e di umiltà. Gli Estensi non erano certamente umili, né certamente poveri, ma hanno avuto bisogno di inserirsi nel cuore dei ferraresi con una carta d’identità di questo tipo» (Radici della spiritualità ferrarese, in Bollettino Ecclesiastico, 2 1993, 349).

Don Primo Mazzolari, in un libro che scrisse per i suoi parrocchiani ricordando l’immagine di S. Antonio, presente in tutte le stalle della sua parrocchia, ne delinea la figura e alla fine si domanda: «cosa fece di straordinario S. Antonio? Niente. Non ha costruito città né fondato imperi, non ha scritto libri né vinto battaglie, non ha scoperto terre né macchine nuove, non microbi di malattie né sieri per guarirle. Eppure il suo posto è tra i benefattori dell’uomo, e, benché la sua lunga giornata si sia svolta in condizioni alquanto diverse dalla nostra, egli ci è di esempio. Vi pare un uomo da poco, uno che non crede nel denaro e non vi corre dietro come fanno i più, vendendo coscienza, pensiero, dignità? Vi pare un uomo da poco, uno che per amore della giustizia e per amore verso i poveri, si spoglia delle proprie ricchezze? Vi pare un uomo da poco, uno che affronta la povertà, la fatica, la solitudine per mantenersi libero onde meglio servire Dio nel prossimo? Vi pare un uomo da poco, uno che potendo fare, secondo l’opinione corrente di tutti i tempi, “il proprio comodo”, sceglie l’ultimo posto e la regola morale del Vangelo?», (S. Antonio Abate. Il contadino del deserto, Vicenza, 1974, 57-58).

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Fotografia di copertina di Giorgia Mazzotti