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Giorno: 3 Febbraio 2022

Parole a capo
Nazario Pardini: “La solitudine del mare” e altre poesie

“Il mare è un antico idioma che non riesco a decifrare.”
(Jorge Luis Borges)

L’ULTIMO AUTUNNO

L’ultimo autunno che vivremo assieme
sarà per impolparci dei colori
della nostra stagione. Verrà il mare
con le sue inquiete onde a raccontarci
storie di antichi approdi; a suonarci
ottobrine romanze. Stai con me.
Sarà bello abbracciarsi; sarà di nuovo bello
confondersi coi lampi di una fine,
come lo era,
coi fremiti nascenti delle fronde.

 

PICCIONI

Bianchi, bigi, rossi, sopra il tetto
si assiepano, la testa fra le piume,
a tu per tu col vento. Sono liberi.
Appena il sole sbuca da levante
scuotono il manto e volano decisi
sui campi a becchicchiare qualche seme.
Svolano sulle foglie delle viti,
sugli stecchi crocifissi delle piante,
su tutto ciò che è avanzo dell’autunno.
Hanno solo l’istinto. Il loro volo
rompe i raggi lucenti e stampa in basso
ombre vaganti; e con i suoi schiocchi
batte dell’ali il tempo della vita.
Se getti le granaglie sul cortile
accorrono in picchiata; e via nell’aria
o sul suolo a tubare calorosi
in cerca dell’amore. Libertà,
spazi aperti, profumo di granturco,
rapina di micragne; anche la pioggia
per loro è acquasanta; li battezza,
scivolando sul dosso come l’aria.
Sono lì, li vedi di pedina,
vivi, trepidanti, nell’attesa
di nuove corse da donare al cielo.

E poi la morte. Dove andranno a morire
quando la sorte tocca?
Non ce n’è traccia. Sarà forse il destino
a riservare loro un angolino?

 

Il FALCIONE

Nel mezzo ai tanti attrezzi è lì un po’ triste
il falcione che più profuma d’erba;
ha perso la sua foga fra le miste
ferraglie di cantina; anche se acerba

la verzura del campo nelle mani
callose di mio padre si accendeva
dei riflessi del sole, ed i suoi suoni
sembravano dei canti a primavera.

Ora è lì, senza voce: una bestia ferita,
accanto ad una cesta e ad un barile.
Nemmeno ti risponde se lo chiami.

La lama arrugginita pare cinta
da un’aria d’abbandono. Nel cortile
l’ho portato, all’aperto, fra i richiami

di paperi e galline. Riluceva;
mi sembrava felice; era una spera.

 

LA PIENA DEL SERCHIO

Piove a dirotto stamani, ed il Serchio
gonfia il suo letto; è già nelle golene,
tra gli alberi che invocano l’aiuto
frusciando melanconici richiami
col loro ciuffo sopra la corrente;
niente risparmia l’acqua inferocita,
tutto porta con sé, alla deriva.
Qui dall’argine l’occhio si spaventa
a mirare la potenza che sprigiona:
le barche sradicate dai pontili
corrono in grembo al grosso defluire,
e ciottoli, tronchi, tavole, e ferraglie
si rincorrono in gara verso il mare.
Mi sposto, e vado svelto a miscelarmi
alla furia spaventosa della foce.
Tira Tramontana, se Dio vuole,
fosse Libeccio chissà che inondazione.
Qui le melme del fiume si accavallano
con l’onde spaventate
che sembrano opporsi a tanta furia.
Odori di salmastro e d’acqua smossa,
di erbe trascinate contro voglia,
mi invadono narici. E mi confondo
con tutto quel fracasso naturale:
divento un ramoscello in mezzo al mare.

 

LA SOLITUDINE DEL MARE

Sono solo e l’inverno mi percuote
coi suoi venti freddi e burrascosi.
Innalzo le onde fino al sommo cielo
e le porto alla strada per sbirciare
gli addobbi di Natale. Ogni tanto
mi vengono a trovare dei ragazzi
innamorati: seduti sul pattìno,
allungano lo sguardo, incatenati,
tra un bacio e l’altro, fino all’orizzonte.
Mi fanno compagnia. La solitudine
mi fa pensare al mondo, al mio vagare,
mi fa pensare ai giorni dell’estate,
ai tanti corpi immersi dentro me,
alle grazie di giovani fanciulle
che mi lisciavano il corpo. Ora ricordo;
vivo nel rievocare quei momenti,
mi sento triste se mi torna in mente
il pianto di una madre e il suo inveire
contro la risacca, e la corrente,
che portarono via un figlio in fiore,
sperso nei miei fondali. Ma a pensarci
sono tanti i mortali sprofondati
nelle mie cavità. Ora son solo;
alzo le braccia al cielo e mi imburrasco
per la forza di un vento che d’inverno
mi assale con frustate. Se m’incontri
di questi tempi ombrosi e nuvolosi,
quando il respiro mio si fa più denso,
mi vedi in piena angoscia. Tiro fuori
tronchi, detriti, ciocchi e tavoloni,
spurgo ogni cosa che mi porta il fiume
e riempio la spiaggia di vestigia;
si fanno le mie acque intorbidite;
trovo la pace solo se la luna
frantuma le sue chiome in tante scaglie.
Allora mi riposo. Puoi vedermi
quando arancio le guance e tingo il cielo
degli amplessi fecondi che dal dentro
fuoriescono per visualizzare
l’inquieto stare chiuso dagli scogli
senza poter sfuggire oltre le sponde.
Senza poter capire, e mi tormento,
quello che fuori esiste; e che mi è ignoto.

Nazario Pardini (Arena Metato, Pisa, 1937). Poeta e critico letterario, laureato in Letterature Comparate e in Storia e Filosofia è ordinario di Letteratura Italiana, blogger, critico e collabora con riviste specializzate. Ha pubblicato molti libri di poesia, racconti, e saggi, tra cui: Foglie di campo. Aghi di pino. Scaglie di mare (1993), Le voci della sera (1995), Il fatto di esistere (1996), La vita scampata (1996), L’ultimo respiro dei gerani (1997), La cenere calda dei falò (1997), Suoni di luci ed ombre (1998), Gli spazi ristretti del soggiorno (1998), Paesi da sempre (1999), Alla volta di Lèucade (1999), Radici (2000), Si aggirava nei boschi una fanciulla (2000), D’Autunno (2001), Le simulazioni dell’azzurro (2002), Poesie di un anno (2002), Dal lago al fiume (2005), Canti d’amore (2010), Racconti brevi (2010), L’azzardo dei confini (2011), Scampoli serali di un venditore di arazzi (2012), Dicotomie (2013), A colloquio con il mare e con la vita (2012), I simboli del mito (2013), Lettura di testi di autori contemporanei I (2014), I canti dell’assenza (2015), Letture critiche dei miei testi II (2016), Antologia poetica a tema “Il padre” (2016), Cantici (2017), Di mare e di vita (2017), Cronaca di un soggiorno (2018), Lettura di testi di autori contemporanei III (2019), Lettura di testi d’autori contemporanei IV (2020), Lettura di testi di autori contemporanei V (2021). Ha pubblicato inoltre le raccolte di poesie: I dintorni della solitudine (2019), I dintorni dell’amore ricordando Catullo (2019), I dintorni della vita. Conversazione con Thanatos (2019), Nel frattempo viviamo (2020), Dagli scaffali della biblioteca (2020). È inserito in numerose storie della letteratura. Ricapitolativo il saggio critico di Floriano Romboli L’azzardo e l’amore. La ricerca poetica di Nazario Pardini (2018). È fondatore, curatore, e animatore di “Alla volta di Lèucade”, blog culturale.

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Gian Paolo Benini e Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

LAGER LIBICI
Una antica vergogna che oggi si ripete

 

Aumentano gli sbarchi di persone in cerca di rifugio e assieme la detenzione nei lager libici, che ne trattengono, aggiungendo disperazione a disperazione. Le speranze dell’UE sono in una riforma costituzionale e in una legge elettorale che assicuri un governo stabile.

Nessun serio contrasto all’estrema violenza praticata, con soldi europei, nei centri di detenzione. È denunciata da tutte le organizzazioni internazionali e documentata anche dalle visite dei medici legali sui corpi torturati. (Ne ho scritto anch’io su Azione Nonviolenta). Cinquemila sono nei lager ufficiali, diverse migliaia in quelli non riconosciuti. Le condizioni in questi non sono certo migliori, e neppure in quelli organizzati dai colonizzatori italiani.

Draghi ci prova con Macron e tutta l’Ue. Ecco le foto dei bimbi morti, bisogna fare qualcosa, ma l’Europa guarda altrove scrive Alberto Negri.
Draghi va a Tripoli e Abdul Hamid Dbeibah restituisce, a Roma, la visita. Il pieno rispetto dei diritti di rifugiati e migranti è l’impegno ribadito.

Come fidarsi delle assicurazioni di un Paese che non riconosce le convenzioni internazionali sui rifugiati? Intanto questo dovrebbe, come minimo, fare. Abbiamo buoni motivi per diffidare dei loro impegni. Loro, forse, anche più dei nostri.
Nel momento di massima collaborazione tra i due Paesi l’Italia non esita ad appoggiare Usa, Gran Bretagna e Francia nella guerra alla Libia. La Libia è uno stato-mafia, ricorda Alberto Negri. Con la mafia si convive ovunque e si fanno affari, dentro e fuori il nostro paese e dunque perché no nella quarta sponda?

Il distretto dell’Emilia-Romagna è, a buon titolo, un distretto di mafia, dice la procuratrice generale reggente di Bologna inaugurando l’anno giudiziario. Non mi meraviglia. Non meraviglia neppure che i campi profughi libici siano campi di concentramento. Sappiamo che i campi di concentramento non sono una novità in Libia. Ce ne parla più volte il già ricordato Negri. Nei libri di Angelo Del Boca ne troviamo notizia. Così negli scritti di Giorgio Rochat, che ricordo straordinario docente a Ferrara. In particolare Negri segnala i lavori di Eric Salerno, io aggiungerei il più giovane studioso Matteo Dominioni, di Del Boca allievo.

Dagli scritti di Eric Salerno – i titoli sono eloquenti: Genocidio in Libia e Uccideteli tutti – oltre al documentato racconto sull’uso dei gas contro la popolazione civile e sulla deportazione dei libici in Italia, emergono oltre 100mila detenuti nei 13 campi di concentramento in Cirenaica e nella Sirtica e altrettanti assassinati. Non manca neppure un campo per gli ebrei: lì ne muoiono 600, ai sopravvissuti pensano i tedeschi a Bergen-Belsen. Salerno sente citare da Gheddafi El Agheila, un villaggio divenuto campo di concentramento e da lì parte la sua ricerca, che è molto nei territori interessati. Alla Farnesina molti documenti sono distrutti, fuori posto, difficilmente rintracciabili, ma qualche traccia emerge.

L’estesa rete di campi di concentramento risulta da documenti ufficiali. I funzionari, contrappongono alla richiesta di risarcimenti, una relazione accurata. Gli impiccati sono meno di quelli pretesi, le fucilazioni senza processo dei ribelli normali atti di guerra, i bombardamenti della popolazione civile episodi spiacevoli.
Quanto ai cosiddetti campi di concentramento non è vero niente, El Agheila come gli altri, sono luoghi di raccolta. A uomini, donne e bambini è garantita alimentazione controllata, assistenza sanitaria e scuola. Il fatto che ai carabinieri fosse affidato il servizio di guardia è, suppongo, un’ulteriore garanzia di legalità. Un risarcimento è tuttavia riconosciuto anche se, denuncia il regista libico Abo Khraisse, non compensa le vittime. Getta piuttosto, scrive Salerno, le basi per una nuova epoca di campi di concentramento finanziati dall’Italia con l’aiuto di collaborazionisti libici che vengono pagati generosamente.

Dalla ricostruzione del più giovane studioso Matteo Dominioni, fondata sugli studi di Rochat e su documenti ritrovati, ricavo qualche ulteriore elemento. Nel giugno del 1931 si creano campi di concentramento capaci di accogliere l’intera popolazione del Gebel, colpevole di appoggio alla resistenza, vent’anni dopo l’invasione. Sì, quella che commuove Pascoli, La grande proletaria si è mossa, ottiene l’adesione del nostro unico premio Nobel per la Pace, Teodoro Moneta.

È insufficiente l’opposizione. Si distingue per intransigenza, motivazioni, preveggenza e proposte Giacomo Matteotti. Dopo vent’anni l’Italia non si ritira, non è mica come gli Stati Uniti. Graziani con i tribunali volanti stabilisce la pena di morte per il possesso di arma o l’aiuto ai ribelli.
I campi mirano a troncare i rapporti tra popolazione e ribelli e impedire l’autosussistenza delle comunità. Il 90-95% del bestiame è eliminato tra il 1930 e il 1931. Per impedire i contatti con l’Egitto – 20mila libici vi si rifugiano – si costruisce un reticolato lungo 270 km e largo metri. È un’altra grande opera – dotata di fortini e sorvolata da aerei – realizzata in pochi mesi, sempre nel 1931. È imitata ancora oggi in Europa.

Badoglio è cosciente di quel che sta facendo: Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla fino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica.

Rochat stima in 100-120mila i deportati nei campi. Mancano i medici, forse quattro in tutto, c’è pure un’epidemia di tifo e non ci sono i mezzi per sterilizzare vesti e vettovaglie. Ai detenuti viene tolta, con la terra e il bestiame, la possibilità di vivere e imposto il lavoro, soprattutto nelle grandi opere del regime, con un terzo del salario dei lavoratori italiani. Le donne si esercitino nella tessitura. Le vittime della repressione sono stimate tra le 50 e le 70mila. Forse più, come scrive Salerno.
Nota Rochat: Questo non è l’unico genocidio della storia delle conquiste coloniali, se ciò può consolare qualcuno, ma è certo uno dei più radicali, rapidi e meglio travisati dalla propaganda e dalla censura.

NOTA 1
Sull’impero coloniale italiano, la guerra d’Africa, i campi di concentramento e gli eccidi degli italiani in Libia,
Franco Ferioli ha scritto per questo giornale un lungo saggio/reportage dal titolo: 25 APRILE A METÀ. Radici del razzismo e scheletri negli armadi”. Lo puoi leggere [Qui]

NOTA 2
Il presente articolo di
Daniele Lugli è uscito con altro titolo sulla rivista online Azione nonviolenta