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Giorno: 17 Febbraio 2022

Il caos di una campagna sanitaria fallimentare,
il clima di odio e la compressione dei diritti costituzionali

 

… E fu così il 14 gennaio del nuovo anno, venerdì, non riuscendo a prenotare un tampone dal sito ufficiale della Regione Toscana perché il sistema sotto la pressione delle migliaia di richieste era andato in TILT, sono andata a fare il tampone rapido antigenico, da me detto “della liberazione”, riconosciuto dall’ordinanza n. 2 del 10 gennaio 2022 del Presidente della Regione Toscana (qui), valido ai fini della certificazione di inizio e di fine malattia.
Per avvantaggiarmi, l’avevo prenotato telefonicamente la settimana prima, presso la Farmacia Centrale di Vicchio, di proprietà della famiglia del sindaco, attuale presidente della Società della Salute del Mugello!
Insomma, una cosa seria, ho pensato. Questa volta mi ero sentita davvero in una botte di ferro.

Ecco fatto! A voce il farmacista dichiara: negativo; e io: bene! Dopo qualche ora mi arriva, bello fiammante, il green-pass di 48 ore sul l‘App. IO, quella a fondo blu dei Servizi Pubblici. Che prontezza, penso; buon segno.

Il lunedì seguente, 17 gennaio, rientro a lavoro e come al solito mi chiedono il green-pass. Cavolo, 48 ore sono passate e il nuovo simbolo della mia liberazione dall’isolamento è già orribilmente…scaduto e da crocetta rossa! Fortunatamente quello vecchio, rilasciatomi dopo la seconda dose di vaccino a fine luglio 2021, non è mai stato inattivato. Quindi lo esibisco e, visto verde, entro!

Inizio a lavorare e per un po’ non ci penso più. Prendo contatto con la sede centrale di Firenze (attualmente nell’ufficio distaccato del Mugello), e vengo a scoprire che, essendo saltato il precedente sistema di monitoraggio dei casi positivi della AUSL, dal 10 gennaio 2022, sempre grazie all’ordinanza del nostro buon Genio, in Toscana è stato attivato un sistema online di autovalutazione (pure qui) per cui ogni cittadino che si ammala di Covid deve:

  1. riempire un modulo sul sito della AUSL, in cui si entra solo se in possesso dello SPID (identità digitale) o della CIE (carta d’identità elettronica) o della CNS (tessera sanitaria-carta nazionale dei servizi) con il quale comunicare l’avvenuto accertamento della positività: data e luogo dove ha fatto il tampone e risultato, ovviamente.
  2. attendere che arrivi per mail la risposta  della AUSL, una sorta di comunicazione-prescrizione che intima l’inizio e le norme a cui attenersi per l’isolamento.

Eseguo pedissequamente quanto previsto e consigliato dal collega, perché sembra che questa sia l’unica strada possibile da percorrere per arrivare ad ottenere il fantomatico e agognato nuovo green-pass.  Già, perché a fine mese mi scade quello vecchio la cui validità,  il Governo Draghi, con il DPCM 17/12/2021 All. B (qui), dopo averci già provato almeno 4 o 5 volte senza successo per via dei ritardi del generalissimo, ma non altrettanto efficiente, Figliuolo nell’organizzazione delle vaccinazioni, ha ridotto precipitosamente a 180 giorni!
Molti italiani infatti si sono chiesti in questo periodo se il nostro Supergreen-Mario, rinforzato dal fido Speranza, non stesse per caso imitando il Mago Silvan dei tempi migliori, tirando fuori disposizioni di emergenza anti-covid19 come foulards colorati dal nero cilindro.

Aspetto, e dopo due giorni mi arriva il modulo della AUSL “Misure profilattiche contro la diffusione della malattia infettiva COVID-19 –comunicazione-prescrizione per rispetto misure di isolamento domiciliare fino a certa guarigione: si rende necessario disporre nei suoi confronti la misura dell’ISOLAMENTO domiciliare”. Di seguito, una serie di spiegazioni di cosa s’intende per isolamento domiciliare e una serie di controlli sanitari da farsi autonomamente (dall’autovalutazione della positività si passa direttamente alla cura fai da te) e l’indicazione di chiamare solo in caso di peggioramento il medico curante (neanche si trattasse di una normale influenza). Più sotto, in neretto, c’è un avviso per i naviganti: Ove, trascorse le 24 ore dall’esito del tampone negativo non venga trasmesso il provvedimento di fine isolamento, il referto positivo del tampone iniziale e quello negativo finale, sostituiscono il suddetto provvedimento come da Ordinanza del Presidente della Giunta Regionale n.2 del 10 gennaio 2022.

La cosa più simpatica è che tutto ciò avviene quando io sono già rientrata a lavoro!

Passano i giorni, compilo i moduli per il servizio Prevenzione e Protezione dell’amministrazione, ma il dirigente mi scrive che si, ha visto il risultato del tampone negativo che gli ho inviato, ma  che per entrare a lavoro devo avere il green-pass. Comincio a preoccuparmi, consulto il mio fascicolo sanitario elettronico e scopro che il tampone negativo è stato regolarmente registrato ma manca il referto scaricabile.
Ecco perché nessuno dell’AUSL l’ha considerato e nessuno mi ha inviato il referto, semplicemente perché non c’è.
Poco male, torno in farmacia e lo richiedo. Loro il referto l’hanno ricevuto per mail dalla Ausl, io no.
Mi consegnano il referto firmato e timbrato e stampato su carta intestata Regione Toscana/AUSL Toscana Servizi sanitario regionale.  In ufficio lo scannerizzo e l’invio al Servizio Prevenzione e protezione e all’ufficio personale, che nel frattempo mi contesta anche il certificato medico INPS, perché nel certificato c’è scritto soltanto che sono stata assente per malattia e non per Covid. Anche questo non va bene. Ma come poteva certificare se ancora non c’era il referto analitico del tampone?  Vabbuò, chiamo il medico…che naturalmente non risponde. Riattacco.

Comincio ad agitarmi e scrivo a tutti: alla AUSL Toscana Centro Servizio di Igiene pubblica (quello che doveva monitorare i casi di Covid e rilasciare i certificati di inizio e fine isolamento), al Servizio Referti, alla direzione sanitaria, all‘URP della AUSL e anche a quello della Regione Toscana, allego il referto del tampone negativo, il foglio d’inizio isolamento e chiedo di ricevere la comunicazione di fine isolamento e poi il nuovo green-pass. Ma l’unica cosa che pass sono i giorni e la mia pazienza.

Per farla breve, sono passati 10 giorni dal tampone negativo e la Ausl risponde che non avendo fatto il tampone presso di loro non possono mandarmi il referto e la documentazione. Per il green pass, poiché lo rilascia il Ministero della Sanità mi devo rivolgere là.

Incredula e decisamente disarmata, ma abbastanza arrabbiata, per usare un eufemismo, decido di cambiare strategia:
vado sul sito della prenotazione tamponi della Regione Toscana e, forte della vecchia richiesta del medico mai utilizzata all’inizio della malattia, riesco a prenotare un tampone antigenico rapido per il giorno seguente martedì 25 gennaio.
Nel frattempo dal Ministero della Sanità mi mandano una mail con cui mi avvisano che il 31 gennaio mi scade il green pass!

Da brava cittadina: il 25 gennaio faccio il secondo tampone all’hub, e il giorno seguente mi arriva  il risultato “negativo” e il “green pass 48 ore”.
Il 27 gennaio arriva  la comunicazione della AUSL di fine isolamento, dove c’è scritto che sono stata ammalata dal 10 al 25 gennaio.
Dopo qualche ora mi è arrivato anche il nuovo green pass dal Ministero.gov.it ! Canto vittoria, ho ottenuto ciò che volevo!

Poi, nelle ore e giorni seguenti ci ripenso, e rifletto.
Perché in tutto il periodo estivo e autunnale invece che prepararsi alla probabilissima ripartenza dell’infezione pandemica, come successo nel 2020, già prevista dai medici scienziati  e poi  puntualmente verificatasi, Governo e alla Regione non ha fatto niente per migliorare la situazione della sanità?
Perché non è stato assunto altro personale, non sono stati aumentati i posti letto negli ospedali, non sono stati allestiti nuovi posti di terapia intensiva, non è stato realizzato un sistema di monitoraggio e segnalazione dei casi positivi efficiente e ben organizzato?
Perché è stato perso tempo prezioso gongolando a lungo nell’autocompiacimento per essere i più vaccinati, i più bravi, quelli che in Europa si sono comportati meglio… tagliando fondi e privatizzando i servizi?

Mentre tutti (vaccinati o meno), fatta la seconda o la terza dose o nessuna, da Natale in poi, siamo caduti come birilli sotto l’avanzata del virus, su tutti i mezzi d’informazione, e con particolare veemenza e arroganza sui canali della RAI, è andata avanti una spietata e spesso offensiva campagna di propaganda accusatoria nei confronti dei cittadini che hanno continuato ad aver più paura dei vaccini che del virus,

Neppure dopo aver passato mesi di lock-down e dopo aver visto cadere sul campo medici e operatori sanitari a decine e centinaia per stanchezza o per malattia, il Governo centrale e quello della Regione si è mosso per migliorare la Sanità territoriale e ospedaliera.

La reazione politica al palese fallimento nel contenimento del virus è stata quella di addossare tutta la responsabilità ai cittadini renitenti invece che a se stessi, che  i problemi sociali e sanitari del Paese sono chiamati a risolverli.
Draghi e i suoi ministri hanno inteso governare il fenomeno sociale e sanitario della pandemia togliendo diritti e applicando forme di discriminazione e repressione per coloro che non si sono allineati alla loro univoca soluzione della vaccinazione, fino a privare i cittadini della possibilità di servirsi del mezzi pubblici, a vietare anche solo l’ingresso in un bar e in un esercizio privato, o addirittura in un ufficio essenziale come le Poste per ritirare una pensione o una raccomandata, come impongono le ultime disposizioni governative. Per arrivare al top dei divieti: negare ai non vaccinati il diritto al lavoro, pilastro della nostra Carta Costituzionale.

Una esclusione violenta e inaccettabile quanto inutile dal momento in cui tutti possono infettare tutti, come oggi appare chiaro e lampante. Oggi tutti questi divieti e proibizioni hanno l’unico obiettivo di reprimere una minoranza che non si adegua, di abituarci ad essere privati dei diritti, a renderci indifferenti alle diverse sensibilità, a dividere i cittadini in buoni e cattivi, a non vedere le discriminazioni che vengono perpetrate a danno dei nostri vicini, amici o meno che siano, delle quali, per un errore del sistema o per un caso fortuito potremmo cadere vittima noi tutti, distraendoci dal riconoscere chi sono i veri responsabili di questo pericoloso gioco al massacro.

Ma come sostiene un caro amico, nel suo bellissimo libro “Dentro la zona rossa”, analisi critica e puntuale dei fenomeni occorsi nei mesi del 2020 passati in lock-down, la responsabilità della pandemia va ricercata nel sistema economico capitalista e nella politica che lo sostiene, verità che tutti abbiamo visto e riconosciuto in quel periodo e di cui siamo consapevoli, ma che vogliono farci dimenticare.

Investimenti in psicologia, l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia- Romagna: «Dalla Regione un impegno concreto, siamo soddisfatti»

Bologna, 17 febbraio – Un impegno a investire concretamente nel benessere psicologico dei cittadini. E a lavorare per rafforzare lo psicologo di comunità all’interno delle Case della comunità. E’ quanto dichiarato dall’assessore regionale alle Politiche per la Salute Raffaele Donini ieri mattina nel corso di un incontro che si è tenuto in Regione con l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia- Romagna, rappresentato dal presidente Gabriele Raimondi, dalla vicepresidente Luana Valletta e dal tesoriere Mattia Salati.
«Dopo mesi di dialogo e confronto possiamo dirci soddisfatti degli impegni presi – commenta il presidente Raimondi -. Come abbiamo sempre detto, investire in psicologia significa investire sul benessere e risparmiare in termini economici. E’ assolutamente necessario che il nostro Ordine e la Regione collaborino nel mettere a punto un percorso condiviso e strutturale nell’ambito dei servizi per il benessere psicologico e ieri abbiamo fatto un primo passo in questa direzione, ottenendo un effettivo riscontro alle nostre richieste».
L’impatto psicologico del Covid, purtroppo, spiega Raimondi, continuerà ad essere importante soprattutto per vissuti di ansia e depressione, disagio giovanile, gestione delle relazioni personali e situazioni lavorative. «Per questo ora più che mai è importante rispondere ai bisogni psicologici dei cittadini – continua Raimondi -. L’Emilia-Romagna si caratterizza da sempre come una realtà di eccellenza per l’attenzione alla salute e al benessere dei cittadini e sono certo che dopo l’incontro di ieri avremo presto riscontri effettivi».

Soddisfazione per aver determinato con nostra azione importante modifica del Regolamento ERP del Comune di Ferrara

Esprimiamo soddisfazione per aver determinato con la nostra azione una modifica importante del regolamento ERP del Comune di Ferrara, nel senso di una maggiore equità: nella proposta in discussione in commissione consiliare viene cancellata la richiesta di documentazione aggiuntiva per certificare l’impossidenza e introdotto un tetto di sette punti per la residenzialità storica.
Ci sono margini nella discussione in commissione e in consiglio per arrivare ad un’applicazione ancor più fedele alla pronuncia del Tribunale e della Corte Costituzionale, considerando che continua a contare di più essere residenti a Ferrara da più di 15 o 30 anni rispetto al fatto, ad esempio, di vivere in una roulotte o un garage (2 punti), di essere ospiti di un alloggio gestito da associazioni di volontariato (3 punti), di avere un provvedimento di sfratto (3 o 5 punti), o di dover lasciare l’alloggio per motivi di insicurezza e incolumità di minori minacciati in ambiente familiare (5 punti). Così come riteniamo debbano tornare nel Regolamento le relazioni sindacali, in conformità alla legge regionale, (a partire dalla presenza del sindacato degli inquilini, cioè di chi rappresenta il cittadino che prova a far valere un suo diritto, in seno alla commissione che esamina i ricorsi) e debba essere stralciata dal Regolamento per l’emergenza abitativa l’anzianità di residenza come criterio di priorità, coerentemente coi contenuti delle sentenze. Su tutto questo avremmo voluto confrontarci con il Comune di Ferrara, ma ancora una volta è prevalso un atteggiamento autoreferenziale e privo dei fondamentali delle relazioni democratiche, anche dopo la pronuncia della Corte di Appello. Rifiuto del confronto che va avanti da due anni e ci ha costretti a rivolgerci ad un tribunale per contrastare un’evidente discriminazione, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti: uno spreco di tempo, oltre che di risorse, inaccettabile di fronte al bisogno di alloggi di tante famiglie.
Diversamente, dopo la sentenza della Corte Costituzionale con altri comuni si è avviato un confronto costruttivo per arrivare a modifiche migliorative dei regolamenti. L’emergenza sociale che stiamo vivendo richiede non autoreferenzialità, ma relazioni sostanziali e partecipazione, per concentrare energie e risorse su politiche che contrastino povertà e disuguaglianze.

MIGRANTI. NASCOSTI NON SPARITI, COSÌ “CAMBIA LA ROTTA BALCANICA” – BOLOGNA SULLA ROTTA

Velika Kladusa (Bosnia Erzegovina) – Nascosti, non spariti. Dove prima erano in 3-400 ora ci sono solo scheletri di accampamenti di fortuna. Lungo le strade di Velika Kladusa, cittadina bosniaca al confine con la Croazia, non si vedono I migranti che a maggio e ancora a ottobre camminavano avanti e indietro dai campi selvaggi costruiti in attesa di provare a superare il confine. Ma non per questo non ci sono, anzi: nel centro diurno in città arriva ogni giorno una ventina di persone per docce, ricarica dei cellulari e cambio di abiti. Poi però non si vedono in giro. “Chi prima stava in strada ora non ci sta, perché la Polizia passa e prende i migranti per portarli tutti a Lipa. E allora la gente, ma anche le associazioni, si vedono meno per evitare situazioni di questo tipo”, racconta Lejla Smaijc, responsabile sviluppo progetti per Emmaus, accogliendo I volontari di Bologna sulla rotta, la piattaforma nata sotto le Due torri un anno fa a seguito dell’emergenza migranti in Bosnia e al suo quarto viaggio nel paese balcanico, stavolta per portare aiuti ‘adatti’ questa fase. Ovvero, risorse per comprare generi alimentari con cui preparare cibo per i migranti che ancora non hanno superato la frontiera. E i soldi servono come il pane, “con il Covid è aumentato tutto”, racconta alla Dire una volontaria (qui uno stipendio medio alto si aggira sui 400 euro mensili). A Velika Kladusa a ottobre Emmaus ha aperto una cucina da 130 pasti al giorno: alcuni vengono consegnati, anche alle persone bisognose della città, altri a specie di rider, ‘delegati’ a ritirare I pasti per altri migranti che così non si fanno vedere in giro. Sabato e domenica scorsi volontari di Bologna sulla rotta hanno fatto la spesa per questa cucina (sei carrelli stracolmi) e per una volontaria che invece dà una mano ai migranti in cammino dalle parti di Bosanska Bojna, altro punto di confine.
Quelli attorno a Velika Kladusa sono luoghi già visitati dai precedenti viaggi partiti da Bologna, ma ora appaiono molto diversi. “E’ veramente stranissimo, qui c’era un viavai continuo di persone, 400 persone, tanti bambini, tende, un sistema di distribuzione dell’acqua… ora fa impressione”, dicono Nico e Viola che avevano visto questa zona, l’Elicopter, un enorme campo a due passi dalla città a ottobre scorso. Ora è una spianata brulla e spoglia punteggiata da masserizie abbandonate. Si notano le scarpe rosa da bimbi lasciate nella sterpaglia. E nel ‘Bosco Bangla’ poco lontano sono rimaste solo le tende mezze distrutte e i cani che facevano compagnia ai migranti, bangladesi appunto, a maggio 2021. Sia nell’uno che nell’altro campo selvaggio solo I resti bruciati delle sistemazioni di fortuna dicono che fino a poco fa erano pieni. Ma ora pochi resistono al gelo delle notti invernali. O sono a Lipa, nel nuovo campo a 30 chilometri di Bihac, o nascosti. Ci sono famiglie che decidono di aspettare che passi l’inverno cercando di evitare di farsi portare a Lipa.
Poche settimane fa alcuni gruppi, anche numerosi, sono riusciti a entrare in Croazia facendosi registrare per accedere così ai campi profughi. Ma ci sono anche ragazzi, di 13 e 16 anni, che di recente hanno provato il Game (il passaggio della frontiera nei boschi) due volte e altrettante sono stati respinti. “I pushbacks sono diminuiti, ma restano una prassi”, spiegano gli operatori delle organizzazioni umanitarie lungo il confine. Ed ecco così che prende forma un altro tipo di ‘risposta’: con il calo delle presenze lungo il confine, (gli arrivi dalla Serbia non sono più una emergenza, ma sono meno anche dalle zone di Sarajevo e Tuzla), con i campi più grandi pieni per metà, si provano a costruire corridoi umanitari. Dallo stare nascosti a uscire dal paese ‘alla luce del sole’: è una delle prospettive concrete su cui si può lavorare adesso.
“Stiamo cercando di lavorare ai corridoi umanitari. La Rotta balcanica è cambiata e sta cambiando, ma non sappiamo se a marzo riprenderanno gli arrivi”, dice Lejla. Ci sono da tenere d’occhio anche i venti di guerra in Ucraina: perché potrebbero riaccendere spinte separatiste interne (in primis nella zona della Repubblica Serbia della Bosnia) e portare i migranti a ripassare da questo paese… Chi c’è, intanto, sfrutta ogni finestra di bel tempo per provare il Game: come i tre migranti che, pur molto distanti da Bosanska Bojna (anche lì le case diroccate che offrono riparo sono piene solo di cose abbandonate da chi se n’è andato), si presentano a prendere qualcosa da mangiare dopo che i volontari bolognesi hanno scaricato gli acquisti. Poi via, finché c’è il sole. Pochi ma ci sono. “Ho aiutato una famiglia di quattro persone”, dice la volontaria e aggiunge: “Not so people in Sarajevo, but they are coming”. Insomma: anche se alcuni migranti preferiscono altri percorsi (per gli afghani pare che sia agevole puntare sulla Bielorussia, mentre in molti tentano la via della Romania o verso la Polonia), il confine bosniaco-croato resta un punto di snodo della Rotta balcanica. Va ‘adattata’ la risposta: i corridoi umanitari e ‘companatico’, cioè riso, fagioli, pasta, carne, latte, patate, zuppe… (panini per chi prova il Game).
“I soldi servono anche solo per comprare le vaschette in cui inserire gli alimenti che vengono ritirati dai singoli e portati agli altri. La cosa interessante che abbiamo sperimentato è che il progetto della cucina permette una sensibilizzazione sui migranti e passa il messaggio che questo progetto permette di aiutare anche le persone in difficoltà e bisognose che straniere non sono”, sottolinea Lejla.

Regione Emilia-Romagna e Herambiente: siglato il protocollo per un progetto sperimentale per la qualità dell’aria

È stato siglato, nei giorni scorsi, un protocollo d’ intesa tra la Regione Emilia- Romagna ed Herambiente per il monitoraggio degli effetti della piantumazione di alberi della specie paulownia presso termovalorizzatore che ha sede a Ferrara, ai fini di realizzare un progetto sperimentale che potrebbe rappresentare un caso pilota nell’ambito degli strumenti funzionali alle politiche di qualità dell’aria.
Oltre che all’incremento della superficie arborea nel territorio, l’iniziativa è dunque tesa alla definizione e realizzazione di uno studio volto ad accertare l’efficacia di queste piante nella mitigazione di alcuni inquinanti atmosferici. D’altra parte, la paulownia – specie caratterizzata da una crescita estremamente veloce sia della parte legnosa sia delle foglie – è stata selezionata proprio per le sue riconosciute capacità di catturare l’anidride carbonica e polveri sottili.
Nel realizzare la sperimentazione, la Regione e Herambiente potranno anche cooperare con Università ed Enti di ricerca in possesso di conoscenze ed esperienze nel campo, nonché coordinare le attività e i risultati del progetto con quelle sul monitoraggio della qualità dell’aria in ambiente urbano e periurbano
condotte da altri soggetti pubblici e privati, comunque in sinergia con ARPAE.
Inoltre, il protocollo già prevede che, in caso di monitoraggio positivo del sistema sperimentato presso il termovalorizzatore di Ferrara, Herambiente ne valuterà l’estensione anche in altri impianti.
Sul piano pratico, Herambiente ha provveduto a alla piantumazione presso il sito di via Diana delle circa 200 piante messe a disposizione gratuitamente dall’Associazione Paulownia Piemonte, ente no profit che ha come obiettivo la promozione e la diffusione di tale specie in funzione dei relativi benefici sull’ambiente, e si è impegnata a provvedere alla loro manutenzione anche oltre la scadenza triennale del protocollo, conservandole fino alla conclusione del loro ciclo biologico.
“Abbiamo accolto con favore la proposta di avviare questa sperimentazione nel sito di Ferrara – ha detto l’Amministratore Delegato di Herambiente Andrea Ramonda – perché condividiamo su tutta la linea gli obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici e di miglioramento della qualità dell’aria proposti della
Regione. Inoltre, nonostante nei nostri impianti già effettuiamo numerose attività di monitoraggio – dalla sua messa in esercizio, nel 2008, tutte le campagne svolte a Ferrara hanno dimostrato l’assenza di impatti significativi sul territorio da parte del WTE – siamo sempre disponibili a sperimentare e adottare soluzioni innovative come quella oggetto di questo protocollo. O come il progetto di Biomonitoraggio
ambientale “Capiamo”, attivo in diversi siti impiantistici, fra i quali il termovalorizzatore di Pozzilli in Molise, che sfrutta la capacità delle api di rilevare anche le minime presenze di inquinanti per verificare in continuo l’assenza di sostanze nocive nei pressi del termovalorizzatore locale”

Adolescenti non vaccinati, le consigliere regionali Tarasconi e Zappaterra scrivono alla Garante

Katia Tarasconi e Marcella Zappaterra, consigliere regionali Pd, dopo aver ricevuto alcune segnalazioni specifiche, hanno deciso di rivolgersi con una lettera alla Garante dei diritti per l’infanzia e l’adolescenza da poco eletta, Claudia Giudici. “Abbiamo intesto segnalare alla Garante una situazione delicata, che riguarda gli adolescenti dai 12 anni che non possono accedere ad attività sportive, culturali, ricreative, artistiche, sia all’aperto sia al chiuso, se non sono vaccinati contro il Covid – spiegano Tarasconi e Zappaterra che ci tengono a sottolineare come – Condividiamo in pieno le misure introdotte dal Governo che estendono l’obbligo di Green Pass e Green Pass rafforzato a tutela della salute sia dei vaccinati, sia degli altri fruitori di spazi pubblici”.
“Tuttavia – specificano la consigliera piacentina e la capogruppo Pd – la problematica insorge quando la vaccinazione non è avvenuta a causa della contrarietà dei genitori o del loro disaccordo, nonostante la sostanziale volontà del giovane di ricevere il vaccino anticovid. In tali casi si ricorre spesso alla decisione di un giudice, ma sappiamo che ciò richiede tempi dilatati”.
“Non sono casi diffusi, certo, ma temo che possano essere realmente discriminatori per questi ragazzi, privati, senza vaccino, di ogni possibilità di attività sportiva e sociale, con le ripercussioni psicoemotive negative facilmente immaginabili. Non è banale ribadirlo: bambini e adolescenti sono tra le categorie che più sono provate sul piano psico-emotivo da 2 anni di pandemia. Per questo ci siamo rivolte alla Garante per chiedere se non si possa chiedere l’intervento delle istituzioni preposte affinché, per i ragazzi in questa situazione, si possa tornare alla situazione precedente all’obbligo di Green Pass rafforzato, ovvero alla richiesta di un tampone entro le 48 h precedenti per poter accedere a piscine, palestre, bar o ristoranti” propongono Tarasconi e Zappaterra.

Incomedia sostiene Progetto Arca per la nuova Cucina mobile di Roma

 

Al via anche la campagna per mille pasti caldi

Roma, 17 febbraio 2022 – Incomedia è da sempre al fianco delle persone più bisognose. Da oggi con una nuova iniziativa, al fianco della Fondazione Progetto Arca.
Grazie al sostegno economico dell’azienda di Ivrea (TO) – città dalla lunga tradizione industriale e da poche ore anche Capitale italiana del libro 2022 – è stato possibile realizzare una nuova Cucina mobile, inaugurata oggi a Roma in Piazza San Pietro: si tratta di un food truck attrezzato con fornelli, forno e bollitori che ogni sera, per cinque giorni alla settimana, offrirà 450 pasti caldi completi alla settimana ai senzatetto che incontrerà lungo il percorso.

L’emergenza pandemica ha reso ancora più critiche le condizioni di chi, già prima viveva in situazioni compromesse. Abbiamo tanti “nuovi poveri” che per la prima volta si trovano costretti a chiedere aiuto e, complessivamente, registriamo un progressivo aumento delle persone in condizioni di povertà assoluta.
In questo contesto Incomedia ha deciso di scendere in campo e di fare qualcosa di concreto sul territorio, sostenendo la Fondazione nel suo impegno quotidiano a fornire aiuto alle persone più fragili, come senzatetto e famiglie indigenti. All’evento sono stati presenti, oltre a rappresentanti delle istituzioni cittadine e regionali, Alberto Sinigallia,presidente di Fondazione Progetto Arca, e Federico Ranfagni, CEO di Incomedia.
“Quando abbiamo scoperto il progetto della Cucina mobile non potevamo tirarci indietro e abbiamo deciso di sostenere la realizzazione del progetto qui a Roma con l’obiettivo di vederla funzionante e operativa nel più breve tempo possibile, sottolinea Federico Ranfagni, CEO e co-founder di Incomedia. Non è la prima volta che Incomedia sostiene iniziative per il sociale, ma sicuramente la Cucina mobile a Roma è il progetto più grande
e sul quale crediamo fortemente perché è un aiuto concreto, soddisfa con l’erogazione dei pasti caldi uno dei bisogni primari dell’uomo ed è un progetto continuativo, destinato a durare settimane, mesi e anni.

Infatti l’impegno di Incomedia con Progetto Arca non si esaurisce con l’inaugurazione della Cucina mobile di Roma. Da oggi, infatti, l’azienda dà il via ad una   chiamata #AiutaciAdAiutare per coinvolgere i suoi clienti nella raccolta di mille pasti caldi: per ogni copia acquistata del suo software per la creazione di siti web WebSite X5, Incomedia devolve fino a cinque pasti caldi alla Fondazione.

Ufficio stampa Incomedia

Maggiori info sull’iniziativa: https://www.incomedia.eu/it/progetto-arca.php

CARO-BOLLETTE: STANGATA PER LE COOPERATIVE SOCIALI

“SERVIZI ESSENZIALI A RISCHIO CHIUSURA, CHIEDIAMO A GOVERNO, REGIONE E COMUNI MISURE D’EMERGENZA”

Confcooperative Federsolidarietà Emilia Romagna: “Aumenti fino al 160% per il gas e al 60% per l’energia elettrica, ma non possiamo rimodulare i servizi e  lasciare al freddo le persone fragili che assistiamo”.

 Bologna, 17 febbraio 2022 – Il sistema di welfare regionale barcolla sotto i colpi del caro-bollette. Le cooperative sociali (oltre 700 quelle presenti da Piacenza a Rimini e aderenti alle centrali cooperative), ancora provate dalle misure anti-Covid che hanno comportato importanti aumenti nei costi di gestione, ora rischiano il tracollo a causa dei rincari inauditi nei costi dell’energia che stanno mettendo a rischio l’assistenza alle persone fragili.

“Ogni giorno ci arrivano dalle nostre cooperative sociali segnalazioni di strutture allo stremo, che si trovano a dover fare i conti con aumenti del gas fino al 160% nelle bollette degli ultimi mesi e al 60% per l’energia elettrica – afferma Luca Dal Pozzo, presidente di Confcooperative Federsolidarietà Emilia Romagna -. Per una cooperativa sociale che gestisce una residenza per anziani o un centro diurno per minori in difficoltà o persone con disabilità, ritrovarsi a pagare decine di migliaia di euro in più al mese rappresenta un problema enorme, al quale non può certo fare fronte da sola. Abbiamo segnalazioni di cooperative con bollette passate da 15mila a oltre 40mila euro in un solo mese; per chi lavora nel welfare, con margini pressoché inesistenti, è davvero impossibile resistere a lungo”.

Dal Pozzo esprime quindi la preoccupazione delle cooperative sociali di “non riuscire più a stare in piedi, se la situazione non cambia”. “Siamo a rischio desertificazione del welfare quando invece, grazie anche ai fondi del PNRR, dovremmo investire e rilanciare”. Inoltre, aggiunge il presidente regionale di Confcooperative Federsolidarietà, “l’infiammazione dei costi per le strutture residenziali, semiresidenziali, per i centri diurni, arriva due volte, direttamente sulle bollette, ma anche attraverso i fornitori. Stiamo parlando dei beni di prima necessità su cui le altre imprese scaricano i loro incrementi. Le cooperative sociali non possono far pagare il costo della bolletta alle persone fragili assistite né si vedono riconosciuto tale costo dalle Amministrazioni pubbliche per conto di cui spesso operano”.

“Il welfare – sottolinea Dal Pozzo – è un settore ad alta intensità di manodopera, dove non è possibile ‘fare economie’, sospendere o riprogrammare autonomamente i servizi essenziali, tantomeno pianificare interventi su fasce orarie ‘meno costose’ come avviene in altri settori produttivi. Se in fabbrica si può immaginare temporaneamente la riduzione o rimodulazione oraria dei cicli produttivi ad esempio in orario notturno, noi non possiamo fare lo stesso nelle nostre strutture, dobbiamo garantire continuità e accessibilità. Non possiamo permetterci di lasciare al freddo i nostri ospiti fragili, dagli anziani ai disabili”.

“Chiediamo al Governo, alla Regione, alle Amministrazioni comunali e alle Aziende sanitarie – conclude Luca Dal Pozzo, presidente di Confcooperative Federsolidarietà Emilia Romagna – interventi di emergenza per calmierare l’infiammata dei costi, che da soli non possiamo sostenere. Ne va della tenuta del nostro sistema di welfare regionale, all’interno del quale le cooperative sociali erogano servizi a un milione di cittadini e danno occupazione a oltre 62.000 persone, in gran parte donne.–

Confcooperative Emilia Romagna

In copertina: Luca Dal Pozzo presidente Federsolidarietà Emilia Romagna

Lettera Aperta ai Soldati Italiani

 

Cari soldati, care soldatesse

Come voi ho prestato servizio nelle forze armate di questo Paese. Sono uno tra gli ultimi a cui arrivò la cartolina. Per me il servizio militare è stato una parentesi. Ho avuto modo di capire che la caserma era una copia semplificata della società civile: noi soldati di truppa mandavamo avanti le officine, le mense, i trasporti, i servizi e la mastodontica burocrazia. Ma allora eravamo coscritti: i governi non potevano disporre liberamente della nostra vita per missioni di guerra oltre confine. Per farlo avrebbero dovuto assumersi la responsabilità di dichiararla, la guerra…Ed in quel caso io avrei fatto l’unica scelta per me possibile: disertare.
Perché la guerra l’avevo già vista in faccia da volontario civile, in Bosnia, e la sua puzza immonda ce l’ho ancora nelle narici.
I governi di questo Paese, per fare la guerra senza dichiararla, ignorare il diritto internazionale e la nostra stessa Costituzione, su precisa richiesta degli Stati uniti e della Nato si sono inventati i nemici di turno, “la guerra umanitaria”, “l’esportazione di democrazia” e hanno trasformato i soldati di truppa in volontari.
Che grande furbizia: quando i vostri colleghi tornano in patria in un sacco nero dalle spedizioni oltreconfine sono accolti da un grande ipocrita non detto: erano volontari, era il loro mestiere. Le responsabilità dei mandanti politici ed industriali di avventure militari fallimentari possono così sfumare.
Se invece i vostri colleghi tornano in patria e poi si ammalano gravemente o muoiono per l’esposizione all’uranio impoverito che la Nato ha riversato sui Paesi che doveva “salvare” il trattamento è ancora peggiore: “chi se ne frega” vi risponde il Ministero della difesa.
Ma che Paese è quello in cui un soldato deve sperare di andare in guerra per avere le indennità con con cui pagarsi il mutuo della casa o gli studi dei propri figli e figlie?
Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, ha detto che le missioni a cui partecipa l’Italia sono la migliore vetrina per l’industria bellica nazionale mentre il ministro della difesa Guerini sostiene che questa industria è il pilastro della nostra politica estera.
Ecco, vi lusingano dandovi degli eroi, ma è chiarissimo che per loro siete soltanto carne da cannone, da mettere in vetrina, per fare grandi affari.
Anche per questo fanno di tutto per impedire che vi possiate sindacalizzare e organizzare.
In questo momento di grande tensione internazionale in cui sono in gioco la pace e relazioni economiche, commerciali, energetiche vitali per il nostro Paese i vostri colleghi dei reparti alpini sono presenti nei Paesi Baltici, i piloti dell’aeronautica stanno in Romania con gli Eurofighter, i marinai nel Mar Nero con fregate e cacciamine ed il previsto arrivo della portaerei Cavour.
Una follia: La Russia non ci sta minacciando così come non ci minacciavano i Paesi alle cui aggressioni abbiamo partecipato. Proprio oggi, 16 febbraio, all’incontro interministeriale della Nato, il ministro della difesa metterà a disposizione altri 2000 soldati, pronto a mandarvi per l’ennesima volta allo sbaraglio.
Ma voi, soldati e soldatesse, avete giurato fedeltà alla nostra Costituzione non agli interessi dei governi statunitensi o dell’industria bellica nazionale. E proprio perché in due guerre mondiali foste mandati a crepare per soddisfare il delirio di onnipotenza di governi infami e i fatturati di un ristretto gruppo di industriali, i nostri Padri costituenti scrissero nero su bianco, nella Costituzione su cui avete giurato, che “l’Italia ripudia la guerra”.
Il 19, il 20 ed il 26 febbraio saremo nelle piazze italiane per manifestare contro i venti di guerra che vengono fatti soffiare anche dal nostro/vostro governo. Manifesteremo per ribadire che vogliamo un’Italia neutrale e di pace, per chiedere il ritiro dei nostri contingenti già presenti ai confini con la Russia e per impedire che altri di voi vengano ammassati in un’azione provocatoria ed assurda.
Manifesteremo per rappresentare l’interesse concreto della maggioranza degli italiani e quindi manifesteremo anche per voi.
di Gregorio Piccin

Responsabile pace Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

Parole a capo
Sonia Tri: “Dov’è silenzio?” e altre poesie

“Fuori s’estende la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il vento danno alle nuvole l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante…”
(Italo Calvino)
Non abituarti al cielo
Non abituarti al cielo.
All’erba di marzo, non abituarti.
Alle parole di chi ami,
al fruscio di un albero che germoglia,
non abituarti.
Perderesti la possibilità
di nascere in ogni momento,
anche da vecchio.
O già cenere,
credendoti morto,
prima di morire.
Che basta un piccolo fuoco,
d’inverno.
Ciò che noi siamo.
Dov’è silenzio?
Dov’è silenzio?
sulla terra sotto la luna,
dove nessuna voce osa
e l’infinito strilla la luce
delle stelle.
Solo questo
esiste davvero,
ed è notte fonda,
è notte muta.
Cos’è silenzio?
Lo sguardo del mio uomo,
spinto da nostalgia
per il mare.
Se tu fossi un albero
Se tu fossi un albero:
un grande albero
di quelli che d’inverno
riempiono i loro rami
di nuvole gonfie,
io non avrei timore
di cedere all’inverno
della mia esistenza.
Mi siederei accanto a te
ed aspetterei
che anche tra le mie mani
si adagiassero nuvole.
Corrono voci e nuvole
Corrono voci e nuvole
sulla fretta del cielo
di essere ovunque.
Dentro e fuori
le nostre esistenze.
Alba che ne muta forma
e destinazione,
senza chiedere,
senza ripensarci mai.
In cortile,
le rose assorbono il sole.
Ridono,
cantano.
Mi da pace sorseggiare il tempo
Mi da pace
sorseggiare il tempo,
nel vapore di un pensiero
in tazza grande.
Giocare con un seme di limone
tra i denti
e lì,
tutto quello
che ho salvato di me,
del cielo,
delle riserve dell’esistenza,
gonfie di buona fede.
Chiudo gli occhi,
il seme di limone
è amaro.
Lo ingoio con la morale
del silenzio,
delle mani conserte,
del respiro prezioso.
Nulla mi fa più tanto male.
Sonia Tri (Pordenone). Appassionata di scrittura, si dedica alla stesura di racconti in prosa, uno dei quali è scelto come racconto d’appendice nel libro ” Teologia della Follia” di Mattia Geretto (2013). Il suo esordio, invece, avviene qualche anno prima, collaborando ai racconti per l’infanzia del Corrierino del Friuli Venezia Giulia, con Guglielmo Donzella editore. Le sue poesie presenti in molte antologie, sono raccolte in buona parte in due sillogi: “Senti come respirano gli alberi” (2012);  “I colori del cielo a settembre” (2020). Di queste, l’autrice cura la pagina FB: Le parole di Sonia Tri. In “Parole a capo“, abbiamo pubblicato altre sue poesie l’1 luglio 2021.
La rubrica di poesia Parole a capo curata da Gian Paolo Benini e Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

Toccare e farsi toccare

 

Quando guardo le mani penso al fare. Certo il fare può essere di tanti tipi, non sempre è un bel fare. “Mani pulite” può essere un esempio di una “politica del fare” non proprio fattibile. “Me ne lavo le mani” può essere un esempio d’indifferenza davvero deprecabile. Essere “maneschi” soprattutto con le donne non è neppure da prendere ad esempio. Per fortuna le mani possono anche creare, lavorare, costruire, accarezzare, afferrare la vita e soprattutto toccare.

Quando guardo le mani, penso al bambino che per capire il mondo, più che vederlo o sentirlo, fa bene prima di tutto a toccarlo. E questo dovrebbe sussistere anche dopo, quando bambini non si è più. “Ci manca il toccare le miserie e il toccarle ci porta all’eroicità, penso a medici e infermieri che hanno toccato il male durante la pandemia e hanno scelto di stare lì. Il tatto è il senso più pieno. Toccare è farsi carico dell’altro”. Queste le parole di Papa Francesco nella sua ultima intervista da Fazio a Che tempo che fa. [qui]

E penso che queste parole mi hanno toccato più di tutto il resto dell’intervista. Un panegirico di ovvietà sicuramente condivisibili, ma anche inevitabilmente banali. Però forse, più che al Papa, è mancata all’intervistatore la voglia di approfondire, di analizzare, di fare domande più smaccatamente rilevanti. Proprio di toccare, chi lo sa. Ciò che invece è mancato a tutti noi dal 2020 è stato il gesto di toccare l’altro. Sentirlo, capire le sue difficoltà, farsi carico delle sue paure, dolori. E ancora ci manca, ora, non ancora abbandonate le mascherine, ma tolti i guanti definitivamente.

L’indifferenza è rimasta, non solo verso le guerre annunciate o ritrattate, verso la fame nel mondo o la crisi climatica, ma anche verso il vicino di casa no vax, l’amico/a gay o il ragazzo di 16 anni morto durante l’alternanza scuola/lavoro.
Quello che penso quando guardo le mani è che di toccare l’altro, noi dovremmo ricominciare a farlo.