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Giorno: 24 Febbraio 2022

No War!

Dal 30 luglio 2020 al 30 luglio 2021 il nostro Pianeta ha vissuto quasi 100.000 situazioni di conflitto, tra sommosse, scontri armati, proteste, violenze contro civili, attentati. Per l’Italia, l’ACLED ha registrato 184 scontri totali, ma nessuna vittima. Ben diversa la situazione in altri Paesi, come il Myanmar, dove oltre 3.200 situazioni di conflitto hanno causato quasi 3.500 morti dopo il colpo di stato della giunta militare, o il Messico, dove la violenza è di casa e nell’ultimo anno ha causato oltre 8.000 morti” (Fonte: Focus Storia Qui).

La situazione in Ucraina è molto difficile se non drammatica, la guerra è alle porte, anzi è iniziata, e la popolazione spaventata e pronta alla difesa armata. Il discorso di lunedì sera di Putin era prevedibile visto che aveva già definito l’Ucraina “Colonia dell’Occidente” e affermato che in realtà i suoi governi sono solo governi-fantoccio. Con quel discorso il presidente russo ha riconosciuto le regioni separatiste di Dontesk e Lugansk, che sono aree cuscinetto tra Ucraina e Russia.

In passato Putin aveva già inviato soldati nel Donbass in “missione di peacekeeping” e impresso una inevitabile accelerata all’escalation della crisi ucraina. Nel Donbass il conflitto fra ucraini e filorussi è aperto senza sconti (sono già morti due soldati di Kiev).

I mercati azionari sono crollati, mentre l’Occidente spera di indurre la Russia a maggior cautela, giocando la carta delle sanzioni. Intanto l’Ucraina è pronta alla “resistenza”, i carrarmati russi si stanno spostando per circondarla e la NATO sta inviando le sue truppe nelle basi militari dei paesi confinanti.

La crisi tra Russia e Ucraina non è scoppiata all’improvviso, ma è il risultato di un contrasto che dura da otto anni, da quando nel 2014, dopo la Rivoluzione di Euromaidan, culminata con la cacciata dell’allora presidente Janukovyč, Mosca ha invaso la penisola di Crimea e sostenuto i movimenti separatisti nella regione del Donbass, in Ucraina orientale.

Un clichè già visto, una escalation di soprusi e violenza già visto, la guerra con tutto il suo orrore già vista. Eppure siamo ancora lì, tutti attoniti di fronte a un conflitto armato che sembra inevitabile quanto incomprensibile, che sembra decisa all’ultimo momento in maniera verticistica e, di fatto, non voluta da nessuno. Sicuramente non voluta dalla gente di quei territori che non riesce nemmeno più a dormire di notte.

Sta aumentando in maniera esponenziale la vendita di psicofarmaci, che aiutano a riposare, a non cadere vittima di disturbi nervosi, che diminuiscono drasticamente la possibilità di sopravvivenza in quelle terre di nessuno, dove i potenti della terra giocano con i loro arsenali mortali.

Nella Seconda Guerra Mondiale sono morti in Russia 8.000.000 di militari e 17.000.000 di civili, per un totale di 25.000.000 di persone. È morto quasi il 15% della popolazione totale, che era di 168.500.000 individui (Fonte: Wikipedia Qui).

Sono cifre esorbitanti che fanno pensare alla atrocità della morte per scontri armati, al fatto che la guerra non risparmia nessuno, che la deprivazione e la paura che da essa si genera riguarda tutti e che il numero di civili morti è sempre altissimo. Bambini dilaniati dalle bombe, la cui sepoltura nella terra non potrà dar pace a nessuno. Né a chi quella guerra l’ha voluta, né a chi l’ha solo subita.

La spesa militare mondiale è raddoppiata dal 2000 ed è in aumento in quasi tutti i paesi del mondo, ci si sta avvicinando ai duemila miliardi di dollari l’anno. I governi si sentono obbligati ad aumentare le proprie spese militari perché altri governi, percepiti come avversari, aumentano le loro.

Questo “tenersi testa” causa una continua corsa agli armamenti, con un costo immenso. Nello scenario peggiore, è un percorso che porta a conflitti devastanti.
Nello scenario migliore, è un colossale spreco di risorse.

Secondo il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), l’istituto che stila la classifica di tutti i paesi in base agli investimenti fatti nel campo della Difesa, nel 2020 la spesa militare nel mondo è aumentata del 2,6%, arrivando a 1.981 miliardi di dollari. In Italia la spesa per le armi ha superato i 25 miliardi di euro l’anno.

Faccio fatica a farmi un’idea di quanti siano tutti quei soldi, se non provando a paragonarli a qualcosa di simile e mi viene in mente Microsoft. La “capitalizzazione di mercato” di Microsoft è vicina al traguardo di 2.000 miliardi di dollari, mentre Amazon è sulla buona strada per diventare tra un anno la prossima azienda a raggiungere l’obiettivo dei duemila miliardi di dollari di capitalizzazione.

Secondo L’International Institute for Sustainable Development (IISD), che è un premiato think-tank indipendente che lavora per creare un mondo in cui le persone e il pianeta prosperino, con 12,5 miliardi di dollari l’anno (un terzo di quello che si spende ogni anno per le armi), sparirebbe il problema della fame nel mondo.

La corsa agli armamenti fa paura, il nostro pianeta è pieno all’inverosimile di armi fatte apposta per uccidere. Quando le armi per uccidere sono così tante, qualcuno sicuramente le userà. La nostra povera terra è popolata da mostri di metallo, che noi chiamiamo comunemente “carri-armati”, pronti ad invadere territori etichettati come nemici e a distruggere tutto quello che trovano sul loro cammino: vegetazione, animali, acqua e aria, persone e futuro di tutti.

L’unica strategia possibile per uscire da tutto ciò è lo stop della corsa agli armamenti, è un accordo fra tutti i potenti per diminuire la produzione e l’uso delle armi, a favore di coltivazioni, allevamenti e relazioni sostenibili, a favore dell’uso verde e pacifico di tutte le risorse, compresi i cervelli umani che usati bene possono fare tanto bene e, usati mali possono fare tanto male.

Credo che a questo proposito non si possa che citare Don Milani e la sua disputa con i cappellani militari. Si può riassumere il suo pensiero riportando una delle sue frasi più celebri:

Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.”
(Tratto dalla Lettera ai cappellani militari – L’obbedienza non è più una virtù)

Se i potenti della terra vogliono continuare a produrre armi, devono anche trovare il modo di venderle, e per trovare il modo di vendere così tante armi tutti i mezzi possibili devono essere legittimati.

Le armi servono per la difesa? La difesa che uccide è una difesa che verrà uccisa. Se spari l’unica cosa che ti puoi aspettare è che qualcuno sparerà a te. Se offendi qualcuno lui ti offenderà, se abbandoni una persona l’avrai persa per sempre … la catena deve essere spezzata, e per fare questo bisogna partire dai comportamenti quotidiani, dalla capacità che abbiamo tutti di essere altruisti e comprensivi oppure egoisti e indifferenti.

Ogni giorno della nostra vita è così, ogni momento della nostra vita è così. In tutto questo c’entra l’educazione alla pace e al rispetto, un senso di comunità allargata e tollerante come strada primaria verso la crescita, come tramite per il confronto.

Per continuare a vendere armi bisogna trovare il modo di fare la guerra (guerre piccole tra ragazzini, guerre grandi tra generazioni, guerre enormi tra Stati), altrimenti non si riescono a mantenere gli standard di produzione e vendita attuali.

Mi chiedo quanta consapevolezza ci sia sul fatto che, fino a quando si continuerà a produrre armi, si continuerà a fare la guerra, si troverà sempre il modo di innescarne di nuove, sempre più aggressive e pericolose per intere popolazioni se non per l’intero pianeta.

Attualmente la Russia è il paese con la maggiore dotazione di carri-armati militari: 15.398. Questo si spiega col fatto che la Russia, uno dei più grandi paesi al mondo, ha oltre 12.000 miglia di confine da proteggere, tutto su terra.

La forza MBT del paese è attualmente in stato di guerra, i T-90 avanzati, i T-54, i T-64 e i T-72 sono in servizio. Il nuovo MBT della Armata Universal Combat Platform ha una torretta di cannoni telecomandata. (Qui). Con questa dotazione, la Russia ha enormi potenzialità di invasione via terra.

Con vicini come il Messico e il Canada, gli Stati Uniti non sono preoccupati della minaccia di una possibile invasione di terra. Non è utile e nemmeno pratico, per un Paese come gli USA, mantenere una MBT grande come quella della Russia, mentre è più strategico allargare e continuare a potenziale la forza aerea.

Ciò non significa che gli USA non siano ben equipaggiati con veicoli militari, gestiscono infatti ancora migliaia di carri armati in tutto il mondo. Con 8.850 mezzi a disposizione, gli Stati Uniti hanno un terzo della MBT del mondo. Il paese è dotato del pauroso M1-Abrams e di molte sue varianti. Il carro armato più recente è l’M1A3-Abrams, che può rivaleggiare con l’ MBT più avanzata al mondo, quella della Corea del Sud, nota per i suoi K2-Black-Panther.

Solo pensando ai Black Panther mi vien da piangere e credo ci siano tutti i motivi per essere da una parte molto preoccupati e dall’altra consapevoli di quanto sia necessaria una inversione di rotta e una strategia di disarmo, che possa salvare il mondo.

Le scale. C’è chi le scende e chi le sale.

 

Questa ipnotica foto di Steve McCurry è ancora in mostra fino al 13 marzo a Conegliano (TV). Potete vederla a Palazzo Sarcinelli, assieme a un altro centinaio di scatti [qui]. Il rosso incorniciato nel sabbia raffigura una donna nell’atto di scendere le scale. Il luogo è il famoso pozzo Chand Baori, nel villaggio di Abhaneri in India. Il pozzo è stato costruito intorno al VII secolo per risolvere i problemi idrici nei periodi di siccità. Una miriade di 3500 stretti gradini che collegano 13 piani fino a trenta metri verso il basso.

Immaginarsi di scende o salire quelle scale senza corrimano fa venire le vertigini. Quando sono andata a vedere la mostra l’idea di fare quelle scale, la geometria precisa, desolante e labirintica mi hanno fatto tremare le ginocchia. Ho saputo poi, in un secondo momento, che si trattava di un pozzo al cui centro si concentrava dell’acqua. Di fronte le gradinate si erge il tempio di Harshat Mata, Dea della Gioia e della Felicità.

I fedeli lo usano anche per le abluzioni rituali. Comunque fare rifornimento è anche bagnarsi nella gioia e nella felicità che la Dea elargisce, assieme all’acqua salvifica. E infatti nei periodi di siccità li impegna a scendere e salire più scale, fino a quasi trenta metri di profondità. Mentre nei periodi di abbondanza di piogge, tutto è più agevole, meno scale da scendere e da salire.

Pensare che la foto è esteticamente eterea, un posto quasi fuori dal mondo, forse anche un po’ ritoccata nei colori. Il famoso fotografo non ne ha mai fatto mistero, utilizza Photoshop come valido aiuto. Forse un po’ troppo, come dicono alcuni suoi detrattori. Pensare, ora, poche settimane dopo la mia visita che è proprio vero, nella vita c’è chi le scende e chi le sale, le scale. Proprio come adesso che la cattiva sorte si abbatte sulla nazione Ucraina e sulla sua popolazione. La situazione tocca tutti, chi più chi meno.

Questa volta le acque sembrano lontane come la gioia e la felicità. E le scale tante, soprattutto da salire. Sperando che questi venti di guerra si calmino quanto prima, e visto che le labirintiche strade della diplomazia non hanno potuto, che almeno qualche dio della gioia e della felicità possa metterci una buona parola.

Parole a capo
Giorgio Bolla: “Una Venezia malata” e altre poesie

 

“Nessun vento è favorevole per chi non sa dove andare, ma per noi che sappiamo anche la brezza sarà preziosa.”
(Rainer Maria Rilke)

Tua è l’estasi

Tua è l’estasi
ma anche mia
tra squarci di rovere
e pioppi d’infilata.

Tu, amore,
in sere silvestri
abbandoni memorie
e giochi
come davanti a vecchi
alberi
che parlano,
adusi al sistema
dell’irrealtà
sotto balconi e
pietre di fiume
tra bave e
scogli
innalzati i respiri
alla ricerca dell’ora
e di una carezza.

 

Si sta bene dopo la pioggia

Si sta bene dopo la pioggia,
nella tua erba.

 

Tu

Tu, piccolo sole nero,
hai scelto la morte
o l’ho scelta io
per te?
Ruvide e stanche
quelle poche giornate,
e notti,
a te concesse
sul filo dell’addio,
sotto il giogo
del nulla.

 

So dove sono

So dove sono e
che altrove avrò
scelgo strette calli
o vedo la figura tua,
immergo aria e vento
nemmeno là,
tra le foglie.

 

Una Venezia malata

Una Venezia malata,
febbricitante
dentro il pianto di una donna.
Non mi abbandonare
ma aprimi
il vento.

GIORGIO BOLLA nasce nel novembre 1957 nella città che ha dato il nome al Mar Adriatico. È quindi veneto. Ha pubblicato numerose raccolte personali e conseguito Premi di Poesia nazionali ed internazionali: in particolare nel 2011, a Larissa (Grecia), ha conseguito il Gran Premio di Poesia Mediterranea. Ha pubblicato un saggio filosofico The Metaphor (e-book – Mnamon ed.). Nel 2020 con Gradiva Publications (New York) ha pubblicato Among Water, Angels and Wind.

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Gian Paolo Benini e Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

In copertina: foto di Ambra Simeone

In ricordo di Thich Nath Hanh – la presenza mentale

 

Oggi mi siedo nello stesso posto
Dove altri sedettero in passato.
Fra mille anni altri ancora verranno.
Chi è che intona il canto, e chi l’ascolta?…
(Nguyen Cong Tru)

Il 22 gennaio 2022 ci ha lasciato il monaco buddhista più famoso al mondo dopo il Dalai Lama: Thich Nath Hanh. Qualcuno ne ha scritto, molti i messaggi sui social soprattutto da parte di coloro che ne conoscevano bene i principi guida e ne avevano letti gli scritti avvolgenti. Di lui ho letto parecchio, spesso mi ha aiutato nei momenti più bui.

Thich Nhat Hanh era monaco zen da oltre cinquant’anni. Nato in Vietnam nel 1926, fin da giovane aveva promosso il Dharma, la Legge Universale naturale, come strumento per portare pace, riconciliazione e fratellanza nel mondo. La sua vita è stata molto ricca, ma sono bastati alcuni episodi per farne una delle figure più rappresentative del buddhismo nel mondo.

Nel 1967, mentre si trovava negli Stati Uniti, incontrava Martin Luther King, il quale, commosso dal messaggio di pace del giovane monaco, lo aveva proposto per il Nobel per la pace. Intanto Thich Nhat Hanh prendeva pubblicamente posizione contro la guerra in Vietnam. Dopo aver promosso la Delegazione di Pace Buddhista, che partecipava alle trattative di pace di Parigi, a seguito della firma degli accordi, si vide rifiutare il permesso di rientrare nel suo Paese. Si stabilì, quindi, in Francia, dove, nel 1982, fondò il Plum Village (o Villaggio dei pruni), comunità di monaci e laici vicino a Bordeaux, in Aquitania tra la valle della Loira e i Pirenei, nella quale è vissuto fino alla fine dei suoi giorni, insegnando l’arte di vivere in “consapevolezza”.

Solo nel gennaio del 2005, dopo 39 anni di esilio, su invito ufficiale del governo vietnamita, era riuscito a far ritorno per tre mesi in Vietnam. Nel 2008, fondò in Germania l’Istituto Europeo di Buddhismo Applicato, in cui la visione del Buddhismo Impegnato approfondiva e integrava lo studio dei testi con la loro immediata applicazione alla vita quotidiana. Ai suoi ritiri, da lui tenuti in molti Paesi del mondo, Italia compresa, hanno partecipato ogni anno migliaia di persone di tutte le condizioni sociali e i suoi numerosi libri di poesie, meditazioni e preghiere sono stati tradotti in molte lingue.

I suoi studenti lo chiamavano – e lo chiamano ancora – amorevolmente Thay, “maestro”.

I suoi scritti sono favolosi, semplici e intellegibili ma illuminanti. Da tempo mi sono avventurata nella lettura, sono tanti, sono belli, sono profondi. In Italia sono per la maggior parte editi da un editore romano, Ubaldini Editore, piccoli volumi dalla copertina azzurra che ricorda la carta da zucchero. In tutti si viene guidati nell’apprendimento di come trasformare ogni atto della vita quotidiana in un’esperienza gioiosa, totale, avvolgente.

Il miracolo della presenza mentale, ad esempio, nasce come una lunga lettera in vietnamita al fratello Quang che, nel 1974, era fra i responsabili della School of Youth for Social Service nel Vietnam del Sud, fondata, negli anni ’60, come applicazione concreta del Buddhismo Impegnato, quel genere di saggezza che dà una risposta a ogni cosa che accade qui e ora: dai cambiamenti climatici e la distruzione dell’ecosistema, alla mancanza di comunicazione, al fanatismo e all’intolleranza, dalle guerre alle famiglie spezzate, alle tensioni personali, con i loro corollari di stress, ansie e violenze. Allora lavare i piatti significa lavarli solo per lavarli, non per pensare alla tazza da tè che arriverà in seguito. Se mentre beviamo la nostra tazza di tè pensiamo ad altre cose, accorgendoci a stento della stessa tazza che teniamo fra le mani, ci facciamo risucchiare dal futuro, incapaci di vivere il presente. Il Sutra della presenza mentale, quindi, dice: “Quando cammina, il praticante dev’essere consapevole di camminare. Quando è seduto, il praticante dev’essere consapevole di stare seduto. Quando giace, il praticante dev’essere consapevole di giacere… qualunque posizione assuma il corpo il praticante dev’essere consapevole. In tal modo vive in diretta e costante presenza mentale del corpo…”. Bisogna anche essere coscienti di ogni respiro, di ogni movimento, di ogni pensiero e sensazione, di tutto quanto ci riguarda in un modo o nell’altro. Nei sutra buddisti si insegna a usare il respiro come supporto per la concentrazione. Il sutra dedicato alla coltivazione della presenza mentale attraverso il respiro è l’Anapanasati Sutra.

Bisogna praticare nella vita quotidiana e non solo durante le sedute di meditazione. Si può praticare la presenza mentale percorrendo il sentiero che porta a un villaggio, camminando lungo un viottolo sterrato, lungo i fianchi di colline e montagne. Ma anche per i vicoli delle città. “Mi piace camminare da solo – scriveva Thich Nhat Hanh – per i viottoli di campagna, fra piante di riso ed erbe selvatiche, poggiando un piede dopo l’altro con attenzione, consapevole di camminare su questa terra meravigliosa. In quei momenti, l’esistenza è qualcosa di prodigioso e misterioso. Di solito si pensa che sia un miracolo camminare sull’acqua o nell’aria. Io credo invece che il vero miracolo non sia camminare sull’acqua o nell’aria, ma camminare sulla terra. Ogni giorno siamo partecipi di un miracolo di cui nemmeno ci accorgiamo: l’azzurro del cielo, le nuvole bianche, le foglie verdi, gli occhi neri e curiosi di un bambino, i nostri stessi occhi. Tutto è un miracolo”.

Ma siamo attivi, abbiamo tante cose da fare e cui pensare, come si fa ad avere il tempo per passeggiare e contemplare? Cosa per pochi eletti, direbbero alcuni. Basta concentrarsi su quello che si sta facendo, pensare solo a quello, al qui e ora, al presente, essere padroni di sé stessi senza lasciare mano libera a impazienza e collera. Portare l’attenzione sul respiro. Quante volte di fronte a un momento difficile si pensa, ecco, mi fermo e respiro. Proprio quello. La presenza mentale è al tempo stesso un mezzo e un fine, il seme e il frutto. Quando la pratichiamo per sviluppare la concentrazione, la presenza mentale è un seme. Ma è di per sé la vita della consapevolezza e, quindi, è anche frutto. Essa ci libera dalla distrazione e dalla dispersione e ci consente di vivere pienamente ogni istante. Il respiro corretto aiuta in tutto questo, il ponte che connette la vita alla coscienza, che unisce il corpo ai pensieri. Ogni volta che la mente si perde, il respiro la riporta indietro. Respirare sempre, inspirare ed espirare. E ancora inspirare ed espirare. Che meraviglia di equilibrio ritrovato. Basta provare. Oggi più che mai capiamo il ruolo del respiro, oggi che ne siamo stati privati a lungo, che una feroce pandemia ha colpito proprio lì, il centro della vita.

Questo legame tra spirito e respiro è testimoniato anche dalle tre lingue classiche dell’occidente, il greco, il latino e l’ebraico, che unanimi derivano il termine spirito dal medesimo con cui designano l’aria o il vento. Non solo: di tale legame spirito-respiro testimonia anche la lingua tedesca, dove “respirare” si dice atmen, in chiara assonanza con il termine sanscrito atman che significa “anima”.

Chi sa respirare, si dice, dispone di una riserva inesauribile di vitalità: la respirazione tonifica i polmoni, rinforza il sangue, rivitalizza tutti gli organi del corpo. Si dice anche che respirare bene è più importante che mangiare. Il respiro è uno strumento, esso è già presenza mentale. Questa deve accompagnare oggi atto quotidiano, e ogni atto è un rito. Dove la parola “rito”, nella sua forza e solennità, viene usata per far comprendere l’importanza capitale della consapevolezza. Da praticare ogni giorno, senza divagare. Vivendo il momento presente, senza attaccarsi al futuro, senza preoccuparsi degli impegni che ci aspettano, senza pensare ad alzarsi e a correre via per fare qualcosa. Solo il presente è vita. Carpe diem, avrebbero detto i latini. Non pensiamo solo a “partire” …

“Per meditare dobbiamo essere capaci di sorridere molto”, amava ripetere il mite monaco. Conserviamo allora sempre un sorriso. Magari con un poco di silenzio dentro e fuori di noi.

Sii un germoglio in silenziosa attesa sulla siepe.
Sii un sorriso, frammento del miracolo della vita.
Rimani qui. Non c’è bisogno di partire.
Questa terra è bella come la terra della nostra infanzia.
Non farle male, ti prego, e continua a cantare…

Nel suo editoriale il giorno della scomparsa di Thich Nath Hanh, Vito Mancuso ha ricordato come venne definito da Martin Luther King: “un sorprendente insieme di doti e di interessi”, cui un maestro tibetano aveva aggiunto: “Scrive con la voce del Buddha”, una sensazione condivisa da milioni di lettori nel mondo, perché è impossibile leggere una sua pagina senza avvertire quella peculiare morbidezza del sentimento, analoga alla dolcezza interiore di cui parla Agostino nelle Confessioni e che l’inno liturgico Veni Sanctus Spiritus invoca dicendo Flecte quod est rigidum, “intenerisci ciò che è rigido”. Già i titoli di alcuni suoi libri ne danno un’idea: “Essere pace”, “Fare pace con sé stessi ovvero guarire le ferite dell’infanzia”, “Spegni il fuoco della rabbia”, “L’energia della preghiera”, “Il miracolo della presenza mentale”, “Discorsi ai bambini e al bambino interiore”. Leggeteli, se potete, aggiungo.

La luce del suo sorriso scalderà i nostri cuori ancora per tanto tempo.

Parte dell’articolo è stato pubblicato su Wall Street International Magazine