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Passarono alcuni mesi e il povero Ettore, magro come un chiodo e tormentato come non mai, continuava a pensare alla sua innamorata.Serafina aveva scoperto, parlando con le donne al mercato, che l’amata del maggiordomo non era affatto originaria di Pontalba, ma che si chiamava Arina e faceva la colf a casa dei signori Pilla.

Arina proveniva da Buzău un municipio della Romania di 135.000 abitanti, capoluogo dell’omonimo distretto, nella regione storica della Muntenia. Viveva nella dependance della casa dei Pilla e si occupava delle pulizie e delle necessità personali della vecchia signora Pilla, che, avendo novant’anni, dava un po’ i numeri.

Arina Arina mon seul et grand amour. Quelle douleur est l’amour. (Arina, Arina, mio solo e grande amore. Quale dolore è l’amore.) – soleva dire Ettore quando pensava che nessuno lo sentisse. Dirlo in francese gli piaceva, faceva sembrare più nobile il sentimento e l’essere umano che lo animava, cioè lui.

La passione per le frasi in francese era una delle sue caratteristiche, così come tutte le abitudini che ricordavano, anche solo vagamente, la nobiltà. Se poi si mescolava il francese, gli atteggiamenti nobiliari e le pene d’amore, si arrivava a una essenza del vivere che ambiva al titolo di ‘principesca’ e che gli piaceva immensamente.

Si era talmente immedesimato nella parte che la viveva come l’unica realtà possibile e all’interno di questa si tormentava a dismisura. Era diventato magro e pallido come una cipolla conservata al buio e vaneggiava di pene e tormenti come un vero spirito romantico. Victor Hugo [Qui] a suo confronto era un illuminista colto.

Oltre ai tormenti amorosi aveva diversi problemi da affrontare. Purtroppo Arina faceva la badante. Avrebbe potuto andare meglio, poteva essere una maestra, oppure lavorare in Comune, o essere la commessa di qualche bottega di Pontalba … macchè era solo una badante.

Come risolvere questo grave problema? Ci avrebbe pensato lui a innalzare lo status della sua bella! L’avrebbe sposata, come gli aveva consigliato Guido e l’avrebbe resa niente di meno che la moglie del maggiordomo della contessa Cenaroli. Questo avrebbe placato le male lingue, avrebbe innalzato Arina di status sociale e avrebbe reso Ettore fiero all’inverosimile per la grande azione di magnanimità, nonché prova d’amore, manifestata.

Ora restava un unico problema: come dichiararsi ad Arina visto che non la conosceva? Doveva tener d’occhio il cancello del castagneto. Come aveva già fatto in passato, prima o poi Arina sarebbe andata a raccogliere la legna e quello sarebbe stato il momento giusto per iniziare il corteggiamento che vagheggiava da mesi.

Quasi tutti i giorni verso le tre del pomeriggio, dopo aver supervisionato i lavori di riordino domestico post pranzo, Ettore faceva un giro nel parco e si spingeva fino al cancello che dava sulla stradina sterrata. Fu proprio così che uno degli ultimi giorni di Marzo vide di nuovo Arina che raccoglieva legna più o meno dove l’aveva vista mesi prima. Anche questa volta portava la giacca nera, ma non aveva il berretto e i capelli erano racchiusi in un’unica lunga treccia color miele scuro che, dalla testa, arrivava quasi a metà schiena.

“Povero me, cosa posso fare ora? Cosa le devo dire?”. Ettore pensò a Guido, cosa avrebbe fatto lui? Probabilmente avrebbe detto qualcosa di molto semplice, quasi banale e stupefacente nella sua normalità e così decise di fare anche lui.

– Buongiorno – disse – io sono Ettore, il maggiordomo di Villa Cenaroli, sta raccogliendo legna? La posso aiutare?
Arina alzò la testa, lo fissò per un attimo e poi sembrò pensierosa. Forse soppesò il vantaggio dell’offerta appena rivoltale e poi rispose:
– Aiutare. Grazie. Tu prendi legna e mettila qui. Io metto nel cesto.

Ettore non se lo fece ripetere due volte. Estrasse la chiave arrugginita che teneva sempre nel mazzo nascosto sotto il grembiule da giardino, la infilò nella toppa e aprì il cancello facendo rumore. Lo stridore prodotto dall’apertura fece alzare in volo le anatre del parco, che avevano proprio là il loro laghetto artificiale preferito. Una piccola quantità di acqua del Lungone veniva infatti dirottata in quella pozza artificiale, ricreando un habitat ideale per le anatre selvatiche che passavano in quel parco tutta la bella stagione prima di migrare verso il caldo, appena prima che a Pontalba si vedesse la prima brina.

Gri, gri, sbam! Il cancello si aprì e Ettore uscì dal recinto del piccolo mondo nel quale viveva abitualmente. Vide dei rametti di castagno in terra e cominciò a raccoglierli, passandoli ad Arina che li prendeva e li riponeva nel suo cesto.

“Ora cosa le dico” pensò Ettore, con i rametti di castagno in mano. “Forse le posso raccontare qualcosa sui castagni”. Lui lavorava con i giardinieri da molti anni e aveva imparato da loro molte nozioni sulla vegetazione del parco. Quindi quello era un terreno su cui si sentiva particolarmente sicuro.

Il castagno [Qui] è una pianta arborea, con la chioma espansa e rotondeggiante. Può essere alto tra i dieci e i trenta metri. E’ una specie eliofila, caducifoglie e latifoglie. I castagni sono alberi molto longevi, possono superare i mille anni di età.
Arina lo guardò stupefatta, poi disse: – eofila, cadofila e latifula – e gli sorrise.
Mai visto niente di più bello, pensò il maggiordomo, ma c’era qualcosa che non tornava nelle parole che Arina aveva ripetuto.

Allora Ettore provò a spiegare meglio.
– Una pianta eliofila, non eofila, è una pianta che cresce e dà frutti se in pieno sole. Ha bisogno della diretta e forte luce del sole.
– Si si, sole – disse Arina – Quando io in Romania sempre poco sole. Ofila bella cosa.
– Eofila! si dice eofila.
– Io sono di Romania, non so bene Italiano, in Romania là si dice eophile, come latino.

Che spettacolo, Arina sapeva il latino. Questa cosa gli piacque molto, la donna non sapeva bene l’italiano, ma avrebbe potuto impararlo perfettamente. Il rumeno è una lingua neo-latina [Qui] con tante parole che ricordano quella bella lingua morta che è l’antenata dell’Italiano. Forse era il caso di proseguire.

– Caducifoglie e non cadofila, significa che il castagno perde le foglie nella stagione a lui sfavorevole, che qui da noi è quella fredda invernale. Tra l’altro le foglie autunnali sono bellissime, diventano interamente gialle e poi cadono, i bambini della scuola elementare di Pontalba vengono sempre a raccoglierle per fare i collages sull’autunno. Attaccano le foglie direttamente sui cartelloni di carta da pacco bianca e fanno dei paesaggi autunnali con tutte le tonalità del marrone del verde e del giallo, molto belli.
– Collages? Cosa è collages?

– Non importa, lasciamo stare. Questo non è importante – le rispose Ettore, poi proseguì: – Latifoglie e non latifula. Latifoglie significa che i castagni hanno le fogli di forma allargata.
– Si, si però troppo difficile. Parole non necessarie. Importante è capire in generale – disse Arina e non sembrava molto contenta di quelle nuove parole spiegate da Ettore. Le sembravano difficili e, per quel poco che aveva capito, abbastanza inutili.

Però Ettore non era brutto e aveva di certo un buon lavoro e uno stipendio sicuro. Queste le sembrarono buone premesse. Lei aveva avuto una vita difficile, un matrimonio finito male, una militanza nel partito di Nicolae Ceaușescu finita ancor peggio nel 1989.
– Tu sposato? – chiese.
– No – rispose Ettore. Ma di quella domanda si spaventò. Sembrava che la situazione stesse precipitando suo malgrado. Doveva prendere tempo e chiedere di nuovo consiglio a Guido.

– Ai ai ai! mi è entrato un moscerino in un occhio. Devo rientrare a cercare Serafina che ha delle mani d’angelo e lo può togliere – disse d’un fiato e, così facendo, riaprì il cancello.
Arina lo guardò e poi alzando le spalle lo salutò: – Ciao Ettore, foglie bellissime.
“Questo va educato” pensò Arina e così pensando definì le caratteristiche di quel rapporto che non cambiò mai più.

L’amore di Ettore (Prima parte) 

L’amore di Ettore (Terza parte) 

Costanza e il suo mondo sono solo apparentemente diversi e distanti dal mondo che usiamo definire “reale”, e quasi sovrapponibili ad ogni mondo interiore. Chi fosse interessata/o a visitare gli articoli-racconti di Costanza Del Re, può farlo cliccando [Qui]

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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